30 marzo 2006

Prossimo passo, l’interazione uomochip

«Verrà rivoluzionata la relazione uomomacchina. Penso a un’interfaccia neuronechip. In un tempo non troppo lontano sarà possibile collegare dei microchip ai neuroni, attraverso nanocavi fatti di materiale biocompatibile. Del resto, nel cervello umano e nei processori dei pc le informazioni circolano sotto la spinta di impulsi elettrici. Nel cervello si ha uno scambio di ioni, mentre nei pc vengono trasferiti degli elettroni, ma il principio di fondo resta il medesimo».

A disegnare questo scenario futuribile è Roberto Cingolani, direttore del Laboratorio Nazionale di Nanotecnologia (NNL) di Lecce, uno dei centri di ricerca nanotech più avanzati in ambito internazionale, forte di 170 ricercatori. «Mi chiede se queste invenzioni cambieranno la vita? Bè, di certo cambieranno i processi di apprendimento. Immaginiamo un microprocessore da una parte collegato al cervello umano e dall’altra connesso in modalità wireless a una immensa rete Internet. Le persone, così, accederanno direttamente a tutta la conoscenza disponibile. A questo punto la scuola e l’Università che conosciamo oggi saranno del tutto inutili. La scuola fornirà le relazioni necessarie per comprendere e usare meglio le informazioni acquisite e non sarà più un luogo dove vengono trasferite nozioni. Si tratta di un’ipotesi meno futuristica e immaginaria di quanto possa sembrare a prima vista. Del resto, l’attuale società dell’Internet e delle reti globali ci avvicina già a questa prospettiva».

In Italia gli studi sul nanotech sono all’avanguardia e in grado di competere con i principali centri internazionali. Oltre a NNL, sono attivi il Nest (National Enterprise for Nanoscience and NanoTechnology) della Normale di Pisa e l’S3 di Modena. «Accade spesso commenta Cingolani che nei settori emergenti, dove l’intraprendenza e la voglia di sperimentare contano più dei soldi e della programmazione, gli italiani riescano a ottenere buoni risultati. Per continuare in questa direzione occorre anche altro: la capacità di fare sistema e risorse, anche pubbliche, destinate ai centri migliori. E serve anche il coraggio di chiudere le strutture inefficienti. Per essere competitivo il nostro Paese deve investire sui settori ad alta tecnologia, puntando all’eccellenza e costruendo attorno a questo la propria immagine. Il modello di azione dovrebbe rifarsi un po’ a quello che la Ferrari ha saputo rappresentare nel mondo dell’automobilismo».

Fonte: Repubblica

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