29 giugno 2006

Londra, il pc-strizzacervelli che legge le nostre emozioni

Sarà presentato in una mostra un computer che collegato a una fotocamera promette di leggere espressioni e sensazioni.

LONDRA - Indovinare l'attimo prima della goccia che fa traboccare il vaso. O cogliere alla sprovvista chi crede di farci fessi con un sorriso. Tutti abbiamo provato a leggere nel pensiero di chi ci stava di fronte. Qualche volta ci riusciamo, più spesso no. Da ora, però, sarà un computer a farlo.

Il sistema intelligente messo a punto dagli informatici dell'università di Cambridge che promette di decodificare le espressioni del viso, proponendosi ricadute ludiche, commerciali ma anche mediche, sarà presentato il prossimo 3 luglio a Londra alla mostra della Royal Society Summer Science Exhibition.

Le prime anime ad essere "scandagliate" saranno quelle dei visitatori, invitati dagli stessi programmatori a contribuire "ad addestrare" il computer offrendogli espressioni ed emozioni di gioia, rabbia, noia e chissà cos'altro.

A fare il lavoro maggiore sarà una macchina fotografica collegata all'avveniristico apparecchio che individuerà le 24 "caratteristiche facciali" determinanti dell'espressione, dal bordo del naso, alle sopracciglia passando per l'inclinazione degli angoli della bocca. E nessuno potrà più nascondere segreti.

Il sistema, infatti, si districherà tra le combinazioni dei movimenti facciali difficilmente controllabili razionalmente e coglierà dal vivo le emozioni più recondite. Secondo Peter Robinson, professore di tecnologia dell'informatica all'università di Cambridge "ci sono piccole differenze nel modo con cui la gente esprime la stessa emozione, che difficilmente si leggono ad occhio nudo".

E già si pensa ai possibili utilizzi commerciali. Primo tra tutti, per esempio, scoprire quando cogliere il momento giusto per vendere qualcosa a qualcuno. Ma non solo. Gli informatici impegnati nel progetto promettono di poter migliorare la sicurezza al volante, creando una sorta di banca dati elettronica che contenga le espressioni in situazioni di confusione, stanchezza e disorientamento. "Stiamo lavorando con i volontari - continua Robinson - e con una grande azienda di automobili, prevediamo che il sistema sarà impiegato entro cinque anni".

Una versione portatile aiuterà invece gli affetti da autismo e da sindrome di Asperger. Progettata insieme ai colleghi del Massachusetts Institute of Technology, leggerà le espressioni facciali e delle emozioni.

Gli scienziati hanno messo a punto il sistema anche grazie alla collaborazione di un gruppo di attori. E pensano a immettere la loro invenzione in Rete. "Per esempio - ha spiegato Robinson - il software collegato ad un webcam potrebbe scannerizzare l'immagine della persona, codificarla e trasmettere le informazioni al sito pubblicitario in grado, a questo punto, di proporgli il prodotto più calzante".

Fonte: Repubblica

Ricercatori italiani fanno «ricrescere» nervi

Antonio Iavarone e Anna Lasorella, che lavorano a New York, hanno ottenuto per la prima volta la rigenerazione degli «assoni»

NEW YORK - Ricercatori italiani hanno dimostrato per la prima volta una connessione tra i meccanismi che promuovono la crescita dei tumori e quelli che stimolano la rigenerazione delle fibre nervose. Il loro studio verrà pubblicato domani sulla prestigiosa rivista Nature. Antonio Iavarone e Anna Lasorella, che lavorano alla Columbia University di New York, in particolare, sono riusciti a «far ricrescere» in laboratorio fibre nervose la cui crescita era stata bloccata.

«E' qualcosa di completamente inatteso e sorprendente» spiega Antonio Iavarone. «Il nostro interesse era quello di approfondire la conoscenza di alcune proteine della famiglia "Id" già note per la loro capacità di promuovere la crescita delle cellule staminali durante il periodo fetale, ma anche per la possibilità, a elevate concentrazioni, di conferire caratteristiche di malignità ad alcuni tumori infantili del sistema nervoso». Questa proteina,invece, nelle cellule nervose mature normali è continuamente distrutta da un enzima chiamato APC (Anaphase Promoting Complex) e quindi non si accumula. «In laboratorio noi abbiamo provato a inserire una forma modificata di Id2, resistente questo enzima in cellule nervose trattate con la sostanza che normalmente ne inibisce la crescita nota come mielina» spiega Iavarone. «E abbiamo constatato una incredibile ricrescita degli assoni, i filamenti che trasferiscono le informazioni (sotto forma di segnali elettrici) tra le cellule nervose oppure dalle cellule nervose agli altri tessuti, per esempio i muscoli». «Dal punto di vista scientifico si tratta di una scoperta sensazionale,perché ora si apre la prospettiva di riprogrammare le cellule nervose e far crescere gli assoni usando la forma modificata di Id2».

La scoperta potrebbe quindi aprire nuove possibilità per il trattamento delle lesioni del midollo spinale? «Dev'essere chiaro che non abbiamo un nuovo farmaco per la cura dei medullolesi» precisa Iavarone, «Ma dal punto di vista speculativo è certamente un progresso di rilievo. Anche perché finora erano andati incontro a fallimenti praticamente tutti i tentativi di far ricrescere gli assoni, perché la mielina, cioè la sostanza di cui gli assoni sono rivestiti, ha una funzione inibitoria su questa ricrescita, e invece la proteina che abbiamo utilizzato è insensibile a questo effetto».

Nessun pericolo di indurre tumori? «E' chiaro che per affermarlo con certezza sarebbe necessario provare questo metodo in vivo su molti pazienti. Per ora possiamo solo dire che non abbiamo notato anomalie nei tessuti che abbiamo trattato. Ma è chiaro che se la Id2 è dotata di simili effetti una sua eventuale applicazione dovrà essere sottoposta a scrupolose verifiche».

Fonte: Corriere della Sera

Autoriparato il cervello dei topi dopo un danno da ictus

ROMA - L'autoriparazione del sistema nervoso dopo un ictus sembra possibile, almeno negli animali, con un piccolo "aiutino" dall'esterno che induce le cellule staminali neurali a formare nuove cellule nervose riparatrici della lesione.

Secondo quanto riferito sulla rivista Nature, da un gruppo di ricercatori americani, l'infusione di una molecola-interruttore nel cervello di topolini colpiti da ictus è riuscita ad attivare un processo di autoriparazione del sistema nervoso scongiurando i problemi motori tipici che avvengono inesorabilmente dopo un'ischemia cerebrale. E così, ha spiegato Ronald McKay del National Institute of Neurological Disorders and Stroke, Bethesda, nel cervello dei topolini utilizzati nell'esperimento si è avuto un aumento considerevole della formazione di nuove cellule, generate dalla attivazione delle staminali nervose indotto dalla somministrazione della sostanza-interruttore.

Il traguardo raggiunto dagli scienziati americani è importantissimo in quanto mostra la possibilità di stimolare dall'esterno le cellule staminali adulte normalmente presenti nel nostro corpo inducendole a riparare un danno. Negli ultimi anni non sono stati pochi i risultati collezionati da gruppi di ricerca di tutto il mondo nei primi tentativi di laboratorio di rigenerate tessuti o organi usando cellule staminali. Ma si lavora alacremente anche allo sviluppo di terapie che inducano le nostre riserve di staminali adulte a riparare un tessuto danneggiato. Ciò per esempio si comincia a sperimentare sui pazienti con deficit funzionali cardiaci grazie alla scoperta di staminali cardiache. Anche il cervello ha la propria riserva di staminali adulte ma finora per curare malattie neurodegenerative il grosso del lavoro si concentra soprattutto su esperimenti di trapianto cellulare. La strada percorsa dagli scienziati di Bethesda aveva l'obiettivo di indurre un processo di autoriparazione dopo un ictus che di norma negli uomini causa morte dei neuroni e conseguenti problemi funzionali, spesso motori o linguistici.

Usando il modello sperimentale di un ictus nei topolini i ricercatori hanno cercato di attivare dall'esterno le cellule staminali neurali, somministrando agli animali per infusione una molecola che accende il recettore Notch delle cellule staminali stesse. Questo recettore è un interruttore cruciale per la sopravvivenza delle cellule staminali sia adulte sia dell'embrione.

Attivando Notch, gli esperti hanno assistito ad un aumento consistente di nuove cellule nervose nelle aree cerebrali colpite da ischemia e in corrispondenza di ciò i topolini non hanno mostrato i segni clinici dell'ictus, quindi non hanno manifestato deficit motori altrimenti inevitabili.

"Questi dati indicano che l'espansione delle cellule staminali in provetta e in vivo, due obiettivi centrali nella medicina rigenerativa, può essere raggiunta attraverso l'attivazione di Notch", ha dichiarato McKay. Ipoteticamente un giorno potrebbe essere possibile somministrare farmaci di "primo soccorso" dopo un ictus o un infarto per indurre processi autoriparativi ed evitare i danni che seguono a questi incidenti vascolari.

Fonte: Ansa

13 giugno 2006

Il telefonino più comodo? Quello di carta

Presentato il concept di un telefonino dall'involucro in Tetra Pak. Economico e riciclabile

Roma - Altro che origami! Con la carta oggi si può anche telefonare. Lo dimostra "Paper Says", il prototipo presentato da Yanko Design, un autentico telefono cellulare con guscio in carta, che ricorda le confezioni di Tetra Pak utilizzate per latte, vino e succhi di frutta.

Non fa vedere la televisione e non è nemmeno un apparecchio 3G, ma potrebbe avere comunque un certo successo per via delle sue caratteristiche. Secondo i suoi sviluppatori, si tratta di un apparecchio riciclabile: preso a nolo per un periodo limitato può essere restituito e riciclato, grazie all'applicazione di un nuovo guscio, sempre in carta. Che si presta a molte personalizzazioni, sia da parte degli utenti che da parte delle aziende che lo potrebbero vedere come una trovata pubblicitaria.

Pensato per coloro che viaggiano sovente all'estero, come soluzione alternativa all'acquisto delle schede telefoniche locali, secondo Yanko design Paper Says è anche un telefono economico: "Il suo prezzo è contenuto e può essere comprato ovunque. Non importa se è sporco o viene smarrito. Può essere acquistato in qualunque organizzazione privata o pubblica, come aeroporti e musei".

Non è stato reso noto alcun dettaglio sulla possibile commercializzazione di Paper Says, che per la sua originalità rappresenta comunque un concept che potrebbe essere gradito ad aziende intenzionate ad entrare nei mercati emergenti. Ma rimangono alcune perplessità legate al fattore economico: a fronte di un pur bassissimo costo dell'involucro, come può questo telefonino costare davvero poco se mantiene batterie, display LCD ed elettronica tradizionali?

Fonte: Punto informatico

10 giugno 2006

Giappone, un robot per commesso

Una catena di grandi magazzini ha iniziato la sperimentazione di un robot in grado di...servire come commesso. L'automa, creato dal colosso dell'elettronica Fujitsu, si chiama 'Enon'

Tokyo, 10 giugno 2006 - In Giappone, una catena di grandi magazzini ha iniziato la sperimentazione di un robot in grado di...servire come commesso. L'automa, creato dal colosso dell'elettronica Fujitsu, si chiama 'Enon'. E' alto 130 centimetri, pesa circa 50 kg e si muove autonomamente per mezzo di 4 piccole ruote. La combinazione ricorda un mix tra i due celeberrimi androidi 'C-3PO' e 'R2-D2'del film 'Guerre Stellari': non ha gambe gambe, ha braccia meccaniche che possono sollevare e spostare oggetti (massimo 0,5 kg), una testa che incorpora 6 videocamere e 6 sensori di spostamento, grazie ai quali 'enon' e' in grado di avvertire la presenza di ostacoli da evitare o esseri umani coi quali interagire.

Secondo il produttore, il cyber impiegato e' il primo esemplare di automa in grado di svolgere molteplici attivita'.

'Enon' sa fare un po' di tutto: accoglie i clienti alla reception e li 'scorta' a destinazione, trasporta oggetti e si cimenta anche in attivita' di sorveglianza non stop, con la possibIlita' di inviare istantanee fotografiche in tempo reale al 'padrone'.

E non finisce qui. Il robot in pratica e' in grado di parlare (per adesso solo in giapponese) con l'interlocutore e ascoltare cio' che gli viene detto o ordinato di fare. L'automa e' inoltre dotato di uno schermo LCD incastonato nel torace, attraverso il quale e' possibile eseguire ricerche e ottenere informazioni su prodotti e servizi di vario genere.

L'esperimento, che si tiene in un piccolo centro nell'isola di Kyushu, durerà un mese, durante i fine settimana. L'obiettivo e' verificare sul campo il comportamento della macchina prima di un suo utilizzo nelle grandi citta'.

Per ora il robot lavoratore sara' impiegato alla reception di un centro commerciale per accogliere i clienti.

Fonte: Il resto del Carlino

09 giugno 2006

Per combattere l'osteoporosi si cambi forma a quella proteina

Ricercatori Usa hanno individuato il sistema utilizzando la NFATc1, che regola la crescita della massa ossea

ROMA - Combattere l'osteoporosi? Basta cambiare la forma di una proteina. I ricercatori dell'Howard Hughes Medical Institute del Maryland hanno dimostrato che la proteina NFATc1 può essere utilizzata per incrementare o ridurre la massa ossea, e quindi intervenire sull'osteoporosi, solo modificandone la struttura geometrica. Lo studio è stato pubblicato oggi sulla rivista Developmental Cell.

Tutto è partito da un effetto collaterale della ciclosporina, un medicinale utilizzato nelle terapie antirigetto dopo i trapianti. Dato che nei pazienti si riscontrava un calo della massa corporea, la curiosità dei ricercatori si è rivolta agli effetti del medicinale, che cambiano la struttura della proteina NFATc1.

La proteina, modificata dalla ciclosporina, non riesce a interagire con il nucleo della cellula e impedisce l'attivazione di alcuni geni. Invece gli esperimenti in laboratorio condotti sui gatti hanno messo in luce che, modificando la struttura della NFATc1 in modo da farla interagire meglio con il nucleo, si ha un forte incremento nell'attività degli osteoblasti - le cellule che si occupano della costruzione delle ossa - e un aumento della massa ossea.

"E' sufficiente - ha spiegato uno degli autori dello studio - attivare una piccola quantità di NFATc1 per dar vita a un forte aumento di massa ossea, che significa poter intervenire in maniera mirata senza disturbare il funzionamento di altri organi".

Le applicazioni sull'uomo sono però ancora tutte da delineare: sarà prima necessario chiarire quali agenti chimici sono più adatti per dare inizio alla produzione extra di NFATc1 senza causare indesiderabili effetti collaterali.

Fonte: Repubblica

Genetica: individuato il gene del piacere

Gli esperti dell'università di Gerusalemme hanno analizzato il dna di un gruppo di volontari trovando due versioni distinte del gene denominato "DRD4". La diversa conformazione determinerebbe l'intensità del desiderio

Roma, 30 maggio 2006 - Si chiama "DRD4" il gene recentemente scoperto al quale legare i nostri istinti e la nostra carica sessuale. Alcuni ricercatori di Gerusalemme hanno analizzato il dna di quasi 200 studenti individuando due distinte forme del gene. La diversa conformazione determinerebbe dunque la diversa passionalità ed intensità dei rapporti sessuali.
I risultati dell'esperimento hanno dimostrato che tra le due forme recettive la meno diffusa è quella "dell'ardente desiderio", riscontrata solo nel 30 per cento dei soggetti analizzati. La restante parte non riceve i giusti impulsi genetici e l'effetto prodotto è un fievole stimolo passionale.
Gli psichiatri e i genetisti impiegati nella ricerca hanno inoltre stabilito che l'ultima modifica genetica può farsi risalire a circa 50mila anni fa lasciando intendere che, anche se in diminuzione, il tempo non affievolisce il desiderio dei pochi "eletti".
Il "DRD4" produce un recettore delle cellule nervose che, attraverso dei specifici impulsi chimici riesce ad attivare stimoli diversi e di intensità diseguale. I ricercatori hanno così voluto dimostrare come il sesso sia legato ai fattori genetici e di come i problemi sessuali possano anche essere curati attraverso il campo della farmacologia.

Fonte: Romaone

Quel robot ha le mani come quelle di un uomo

Una pelle speciale le rende sensibili. Conoscendo la forma dell'oggetto da toccare, il computer guiderà l'umanoide

ROMA - I robot saranno capaci di dare carezze. Alla stretta della loro mano meccanica si sostituirà un tocco gentile, grazie a una "pelle" inventata da due ingegneri dell'università del Nebraska. "Attraverso una pellicola dalle proprietà elettriche particolari, possiamo costruire robot con una sensibilità simile a quella delle mani umane" spiegano Vivek Maheshwari e Ravi Saraf sul numero odierno di Science. E non a dare carezze serviranno i robot dal tocco gentile, bensì ad aiutare i chirurghi in sala operatoria, sviluppando quel campo nuovo della medicina che prende il nome di "chirurgia robotizzata".

L'utilizzo di bracci meccanici per gli interventi più semplici avviene già da qualche anno. Ha il vantaggio di eliminare il tremolìo della mano del chirurgo e quindi ridurre le dimensioni delle incisioni e accelerare la guarigione. Ma il limite di questi apparecchi, guidati a distanza dal chirurgo-uomo attraverso una console, sta proprio nella ridotta sensibilità al tatto e nella visibilità poco nitida dell'area da operare.

Oggi i robot riescono sia pur parzialmente a interpretare un discorso, sorridere, camminare, giocare a calcio o attraversare un deserto. Ma le loro mani spesso sono l'equivalente di una pinza di ferro. "Allo stato dell'arte - lamenta in un editoriale su Science Richard Crowder dell'università di Southampton - i robot non eguagliano nemmeno le capacità di un bambino di sei anni. Non riuscirebbero neppure ad allacciarsi le scarpe o a costruire un castello di carte".

La "pelle" realizzata da Maheshwari e Saraf ha proprietà elettriche tali da illuminarsi quando su di essa si esercita una pressione. Tanto maggiore è la forza esercitata, tanto più intensa è la luminescenza. Una sottile telecamera applicata sul retro della pellicola raccoglie e misura l'intensità della luce, traducendola in una mappa nitida dell'oggetto.

Conoscendo la forma e la struttura della superficie da afferrare, il computer incorporato nel robot è in grado di guidare i movimenti della mano. Evitando sia di far scivolare l'oggetto sia di danneggiarlo con una presa troppo stretta.

Oltre alle applicazioni mediche, il robot fine e sensibile potrà essere usato nelle missioni spaziali. Non è un caso che uno degli umanoidi più avanzati sia uscito dai laboratori della Nasa. "Robonaut" è stato progettato in collaborazione con il Dipartimento della difesa statunitense per effettuare missioni rischiose a spasso nel cosmo. Ha 150 sensori su ogni mano e tutti i dati vengono inviati a un computer che funge da sistema nervoso centrale. Ora "Robonaut" potrà diventare abile non solo nell'allacciare scarpe, ma anche nel riparare l'esterno della navicella, usando un cacciavite mentre è sospeso nel vuoto dello spazio.

Fonte: Repubblica

07 giugno 2006

Nasce la mosca insonne, oscurata l'area nervosa

ROMA - Creata una mosca 'senza sonno'. Il neonato moscerino della frutta (Drosophila melanogaster) potrebbe aiutare a svelare i meccanismi di regolazione del sonno nell'uomo, è riferito sulla rivista Nature in due articoli entrambi dedicati all'insettino che 'non dorme'.
Si tratta di un moscerino cui è stata chimicamente distrutta una parte del cervello, i 'corpi fungiformi', già noti per il loro coinvolgimento in memoria e apprendimento. Il moscerino così trattato, hanno spiegato esperti della Northwestern University in Illinois, dorme molto meno delle moschette selvatiche.

Ciò conferma, come già visto in altri studi su animali e uomo, che il sonno è intimamente legato a memoria e apprendimento in molti animali, probabilmente grazie a un meccanismo di regolazione che si è conservato sulla scala evolutiva, da animali come gli insetti fino a noi. Non a caso alcuni studi anche sull'uomo avevano già dimostrato che durante il sonno nel cervello si riorganizzano le informazioni raccolte di giorno.

Proprio perché quelli che regolano il sonno sembrano essere meccanismi molto conservati sulla scala evolutiva, studiare la regolazione del sonno sui moscerini della frutta ha un grosso valore per capire come è regolata questa parte tanto misteriosa quanto cruciale dell'esistenza umana.

Tanto più perché la Drosophila e l'uomo hanno un sonno con caratteristiche molto simili, per esempio sia l'insettino sia noi al risveglio siamo un po' intontiti, inoltre se lesiniamo ore di sonno al corpo lui inevitabilmente ce le chiede indietro per recuperare. Così gli esperti, diretti da Ravi Allada, hanno eseguito una serie di esperimenti sul cervello della Drosophila. I ricercatori hanno messo 'KO' parti del cervello tra cui i corpi fungiformi.

Questi sono un paio di strutture simmetriche e bilaterali in profondità nel cervello degli insetti e sono responsabili dell'integrazione delle informazioni sensorie e di vitale importanza per la formazione della memoria. Usando composti chimici gli scienziati hanno distrutto il funzionamento dei corpi fungiformi scoprendo che ciò crea moscerini che dormono poco.

Quindi, gli esperti hanno scoperto che i corpi fungiformi hanno un ruolo chiave anche nella regolazione del sonno. Una volta chiariti i meccanismi molecolari con cui i corpi fungiformi operano il controllo sul sonno e, quindi, in che modo sonno, apprendimento e memoria sono tra loro collegati, si getteranno le basi per la completa comprensione dei meccanismi corrispondenti nel cervello umano.

Fonte: Ansa

06 giugno 2006

Una colla biologica lega le cellule leucemiche

ROMA - Identificata la "colla" che lega le cellule staminali della leucemia mieloide acuta al loro nido protettivo, permettendo loro di riprodurre continuamente il tumore e trovato un "solvente" per scollare queste cellule. L' annuncio è stato dato al V convegno nazionale "Cellule staminali e progenitori emopoietici circolanti" da Jean Weng, del dipartimento di Genetica medica e molecolare dell' università di Toronto.

La ricercatrice, che nel 2004 aveva identificato le staminali alla radice delle leucemie mieloidi acute, ha dimostrato l' efficacia di un anticorpo H90 di agire come "solvente" di questa colla, che è la molecola di adesione CD44, posta sulla superficie delle staminali tumorali. E' grazie a questa molecola, infatti, che le staminali che alimentano il tumore rimangono protette nella loro nicchia all' interno del midollo osseo.

"E' la prima volta - ha commentato l'ematologo dell'ospedale S.Camillo Ignazio Majolino, che ha organizzato e presiede il convegno - che siamo in grado di vedere la possibilità di agire anche sulle cellule staminali della leucemia, cioé su quelle cellule che determinano la ricaduta anche nei pazienti che hanno avuto i migliori risultati dalla chemioterapia.

La leucemia mieloide acuta è un tumore del sangue, spesso purtroppo anche dopo cicli di chemioterapia efficaci nel rimuovere il tumore, il male ritorna ovvero si hanno delle ricadute. E' recente la scoperta che ciò è dovuto a cellule staminali tumorali che riproducono in modo continuo il tumore.

Queste cellule si nascondono dentro il midollo osseo protette da nicchie costituite da altre cellule, le cosiddette cellule nutrici, il cui compito è di proteggere dall' ambiente esterno le staminali. Solo dentro questi nidi le cellule staminali sono in grado di sopravvivere e alimentare continuamente il tumore.

La Weng ha scoperto che la molecola CD44 è il collante che permette alle staminali di rimanere ancorate alla nicchia. Con questa premessa, la ricercatrice ha trapiantato il tumore umano in topolini ed ha iniettato agli animali l' anticorpo H90 che lega in modo specifico la molecola CD44. Il legame dell' anticorpo alla molecola di adesione taglia gli ormeggi delle staminali tumorali e potrebbe dunque essere un modo per "stanarle" dalla loro nicchia protettiva per impedire la ricaduta del tumore.

"Speriamo - ha concluso Majolino - che anche nell' uomo sia valido questo meccanismo, per arrivare rapidamente alla produzione di farmaci contro questi tumori".

Fonte: Ansa

05 giugno 2006

Clonazione, il 'padre' di Dolly lancia la selezione genetica

"L'embrione al primo stadio non è una persona". Ma i movimenti per la vita insorgono: "Idea perversa". "Si possono far nascere bambini privi di malattie ereditarie"

LONDRA - Clonazione embrionale e modifiche genetiche dovrebbero essere consentite per far nascere bambini senza far loro ereditare le malattie dei genitori. Lo ha affermato il professore Ian Wilmut, lo scienziato a capo del team che nel 1996 creò la pecora Dolly, il primo animale clonato al mondo.

Wilmut si schiera così a favore di una clonazione 'selettiva': i difetti genetici sarebbero corretti su cellule staminali, prelevate da embrioni affetti da malattie ereditarie, e poi clonate per creare un embrione sano. Il procedimento, continua Wilmut, "potrebbe curare malattie come la Corea di Huntington o la fibrosi cistica".

Secondo lo studioso - che continua ad essere contrario alla clonazione di esseri umani - questo procedimento, con il quale viene creato in vitro un embrione contenente circa 100 cellule, non è equivalente alla clonazione umana. "Un embrione al primo stadio non è una persona e credo perciò che utilizzare la clonazione per prevenire una terribile malattia ereditaria in un bambino sia una cosa molto meno controversa. Non riesco semplicemente a vedere nulla di immorale nell'uso di queste tecniche per prevenire malattie e sofferenze".

Con questa presa di posizione, Wilmut - che l'ha espressa nel libro "After Dolly", pubblicato a puntate sul quotidiano britannico Daily Telegraph - ha suscitato le critiche delle associazioni per il diritto alla vita, che hanno definito "perverse" le intenzioni dello scienziato.

Fonte: Repubblica

04 giugno 2006

Tumore, il vaccino che «uccide» le staminali malate

La ricerca è stata presentata un gruppo di ricercatori argentini al congresso annuale degli oncologi americani in corso ad Atlanta

ATLANTA - Un vaccino anti-staminali per colpire il tumore al polmone: la strategia, nuovissima, è stata appena presentata da un gruppo di ricercatori argentini all’Asco, il congresso annuale degli oncologi clinici americani in corso ad Atlanta. Sei pazienti con un tumore al polmone (del tipo cosiddetto «non a piccole cellule», che rappresenta l’80 per cento di tutti i tumori polmonari) in fase avanzata sono stati trattati con un vaccino costituito da cellule staminali prelevate dal tumore stesso: pochi gli effetti collaterali (limitati a infiammazione nel punto dell’iniezione) e una durata di vita che per alcuni ha superato i tre anni. A condurre l’esperimento un gruppo di ricercatori argentini dell’Ospedale Regina Mater di Buenos Aires, che hanno utilizzato la stessa terapia per curare anche otto pazienti con tumori cerebrali, glioblastomi in particolare. Questi ultimi avevano già subìto un intervento chirurgico e una radioterapia, ma la malattia si era ripresentata. Ora sono a 22 mesi dal trattamento.

L'IPOTESI - Da qualche tempo i ricercatori si sono convinti, e lo hanno dimostrato, che i tumori si diffondono, recidivano e diventano insensibili ai farmaci perché sono «alimentati» da cellule staminali tumorali. Per dirla diversamente: è una cellula staminale impazzita che dà origine al tumore e ne garantisce la sopravvivenza. Qualche tempo fa un gruppo di ricercatori americani di Ann Arbor hanno dimostrato che su cento cellule tumorali, 99 morirebbero comunque «di morte naturale», mentre una è in grado di moltiplicarsi e di rigenerare la massa tumorale all’infinito, spesso incurante delle terapie. È questa che va colpita se si vuole distruggere definitivamente la malattia. Cellule staminali tumorali sono già state identificate nei tumori del cervello, della mammella, della prostata, del polmone e nel melanoma.

UN «IBRIDO» E I FARMACI - Per costruire il vaccino i ricercatori hanno isolato le cellule staminali dal tumore e le hanno «fuse» con cellule B dei pazienti stessi (si tratta di cellule del sistema immunitario che normalmente producono anticorpi) e hanno poi iniettato questo «ibrido» nei linfonodi dei malati. Per ora si è dimostrata la sua sicurezza e una certa efficacia, ma il numero di malati è ancora molto limitato e i risultati dovranno essere confermati da altri studi con un numero superiore di pazienti. Intanto la terapia del tumore al polmone può contare farmaci chemioterapici, già disponibili come il classico cisplaatino e il più nuovo docetaxel. Altre molecole, che agiscono su proteine della cellula neoplastica, sono ancora in fase di sperimentazione: l’erlotinib e il borzetomib hanno dimostrato di aumentare le aspettative di vita nei tumori in fase avanzata. Lo stesso vale per il sunitinib, l’ultimo nato in questa famiglia di farmaci, che è stato presentato ad Atlanta: somministrato una volta al giorno sotto forma di pillola, si è rivelato capace di impedire la progressione della malattia in pazienti con tumore polmonare avanzato.

Fonte: Corriere della Sera

Il robot comandato col pensiero

Presto potrebbe diventare realtà il sogno di tanti scienziati e registi che hanno più volte fantasticato sulla possibilità di comandare macchine e umanoidi con la sola forza del pensiero. Si tratta di una rivoluzionaria tecnologia che è stata presentata a Tokyo dai laboratori di ricerca Honda e Atr. Il nuovo congegno riuscirebbe a trasformare in tempo reale gli stimoli cerebrali nelle azioni meccaniche di un robot.

Questa tecnologia, denominata Bmi (Brain Machine Interface), dimostra come, con il nuovo sistema di codifica neurale Mri, sarà possibile mimare artificialmente i movimenti della mano mediante la mappatura delle reazioni emodinamiche del cervello.

Il progetto rappresenta un notevole passo avanti nella ricerca scientifica. Infatti, fino a ieri, per ottenere risultati simili, era necessario l'impianto chirurgico dei trasmettitori neurali all'interno del cervello, nonché un addestramento specifico per generare un'attività cerebrale decifrabile dalla macchina. Allo stato attuale l'apparecchiatura ha dimensioni molto ingombranti,

ma nel giro di qualche anno il dispositivo potrà assumere la forma di un cappello che potrà essere indossato in movimento e senza alcuna restrizione.

Ovviamente le applicazioni di questa nuovissima tecnologia potrebbero essere le più svariate, per esempio spingere una sedia a rotelle solo pensando di farlo, oppure realizzare dispositivi di sicurezza per le automobili che non necessitano di un intervento fisico da parte del guidatore. La Honda ha affermato che ci vorranno ancora dai 5 ai 10 anni per vedere Asimo, il suo noto umanoide che parla e cammina, muoversi ed agire attraverso istruzioni impartite mentalmente da un essere umano.

Fonte: Il Giornale

02 giugno 2006

Un vaccino contro la cocaina dopo i test Usa, anche in Italia

VERONA - Un vaccino per contastrare l'uso della cocaina. La novità è stata messa a punto negli Stati Uniti e presto prenderà il via l'ultima fase della sperimentazione che potrebbe coinvolgere anche l'Italia. Il progetto sarà presentato ufficialmente al "Cocaina Verona Congress", lunedì 5 e martedì 6 giugno. I primi test - se ci sarà il placet del ministero - dovrebbero partire proprio dal Veneto entro la fine dell'anno.

Come funziona. "Il vaccino - spiega Giovanni Serpelloni, direttore dell'Osservatorio regionale Veneto sulle dipendenze - è costituito da parti di cocaina inerti sintetizzate in laboratorio, che si aggregano alle molecole della cocaina impedendo che questa arrivi all'area del cervello deputata alla gratificazione. Naturalmente - tiene a sottolineare Serpelloni - alla terapia farmacologica è necessario affiancarne una psicologica".

Sei mesi di "copertura". Il vaccino, del quale sono state già testate nelle prime fasi efficacia, sicurezza e tollerabilità, elimina al 100% gli effetti chimici della cocaina e garantisce una copertura di circa sei mesi. Una scoperta di non poco conto se si prendono in esame le dimensioni del fenomeno: in Italia i consumatori della "polvere bianca" sono circa 300.000 e 17.000 sono in trattamento nelle cliniche pubbliche e private.


A chi è destinato. La tipologia del consumatore di cocaina è molto cambiata negli scorsi anni: non si tratta più di una droga d'élite, ma - visto l'abbassamento di prezzo dello stupefacente - il suo consumo si è diffuso in tutte le fasce sociali. Quindi i possibili utenti, sempre secondo Serpelloni, sono di tre tipi: chi ha smesso di farne uso ma teme ricadute; chi è in overdose, e in questo caso il vaccino servirebbe da antidoto; infine i giovani che, pur non avendone ancora fatto uso, sono considerati "a rischio".

Le tappe. Durante il convegno verrà presentato un manuale di aggiornamento tecnico-scientifico sulla cocaina (di circa 600 pagine), il primo in Italia, con il contributo di ricercatori esteri. Inoltre alla fine del congresso, mercoledì 7, sarà attivato un gruppo per lo studio di fattibilità nel nostro Paese, sul piano legale e bioetico, della sperimentazione del vaccino anticocaina. Lo scopo è quello di proporre l'Italia per la fase 3 della sperimentazione (al Nida, l'Istituto nazionale sull'abuso di droghe degli Stati Uniti, sono già state concluse le prime due fasi). Le prime somministrazioni del vaccino potranno partire soltanto dopo che sarà arrivato l'assenso ufficiale da parte del Ministero della Salute.

Fonte: Corriere della Sera

01 giugno 2006

Acqua alle regioni aride grazie alle nanotecnologie

Un materiale nanotecnologico in grado di "succhiare" l'umidità dall'aria potrebbe permettere un miglioramento della raccolta di acqua nelle regioni aride.
Michael Rubner e Robert Cohen del Massachusetts Institute of Technology si sono ispirati a uno scarafaggio che vive nel Deserto della Namibia, sulla costa sudoccidentale dell'Africa. Si tratta di una regione con precipitazioni scarse, difficilmente prevedibili e senza fiumi. Nelle ore mattutine, però, una nebbia piuttosto spessa sale dall'Oceano Atlantico e si adagia sulle dune desertiche. Qui lo scarafaggio raccoglie l'acqua esponendosi alla brezza che soffia dall'Oceano.
Per copiare la tecnica di raccolta dello scarafaggio, i ricercatori hanno costruito un materiale così idrofobico da far sì che l'acqua che lo colpisce si trasformi in piccole goccioline perfettamente tonde.

Il materiale è composto da un film plastico distribuito su un materiale vetroso: il film è disposto in modo da formare valli e colline di dimensioni micrometriche.
Per impedire che le goccioline di acqua vengano intrappolate dalle valli, i ricercatori ne hanno decorato la superficie con nanoparticelle di vetro a loro volta ricoperte da molecole simili al teflon, un tessuto sintetico particolarmente resistente all'acqua.
Per fare in modo che il materiale catturasse l'acqua, i ricercatori hanno creato delle protuberanze con un polimero caricato elettronicamente piene di pori. Queste protuberanze funzionano come una sorta di nanospugne che succhiano l'acqua. In un articolo pubblicato sulla rivista Nano Letters, i due esperti spiegano che queste nanospugne possono essere anche "stampate" su altri tipi di materiale e in particolare di tessuti, per renderli impermeabili.
In generale comunque i primi esperimenti dimostrano che il funzionamento di questo complesso nanotecnologico sembra essere molto più efficiente di altri tipi di strumenti per catturare l'acqua, dove spesso l'acqua finisce per scivolare via senza essere effettivamente catturata.

Fonte: Città della Scienza