27 aprile 2006

Produrre nuvole in laboratorio

È la sfida dei ricercatori di Leipzig, dove è stato inaugurato il primo centro dedicato allo studio della produzione delle nuvole.

LEIPZIG (Germania) - Gli scienziati dell'Istituto di Ricerca sulla Troposfera martedì scorso hanno presentato al resto del mondo un'infrastruttura innovativa che permetterà di creare e studiare vere e proprie nubi in laboratorio.

IL SIMULATORE - Si tratta di un marchingegno molto complicato, denominato Lacis (Leipzig Aerosol Cloud Interaction Simulator), costituito fondamentalmente da un tubo di acciaio lungo 8 metri e di 1,5 cm di diametro. Costato circa 3 milioni di euro, è il frutto di 7 anni di lavoro ed è unico nel suo genere, anche se esistono molti altri simulatori sparsi nei laboratori di tutto il mondo. Si tratta della concretizzazione di un sogno per molti scienziati e meteorologi, una svolta nello studio dei cambiamenti climatici e nelle previsioni del tempo.

STUDIARE LE NUVOLE - La caratteristica che rende Lacis senza eguali è che permetterà di studiare il modo in cui le nuvole sono influenzate dall'aerosol in esse contenuto e come, quando e perché questo si forma. L'aerosol è il miscuglio di gas, vapore e particelle solide che condensandosi forma le nuvole. Chiunque può generare aerosol semplicemente respirando, ma fino a oggi non esisteva un meccanismo in grado di produrlo controllandone le condizioni di temperatura e umidità, e variandole in modo da riprodurre i diversi climi terrestri.

IL FUNZIONAMENTO - In laboratorio l'aerosol viene fatto passare all'interno del tubo, il quale è sottoposto a varie simulazioni ambientali; all'interno del dispositivo la temperatura può variare tra -50 e + 20 gradi centigradi, riproducendo lo stato termico della Troposfera. Inoltre alcuni spettrometri ottici controllano le particelle che passano attraverso le sezioni del tubo, contandone il numero e misurandone le dimensioni. Ogni singola goccia può essere analizzata: il particolato (la parte solida che la compone), le diverse temperature e i diversi gradi di umidità potranno essere messi in relazione con la velocità di crescita della nuvola e di conseguenza con la sua potenza rifrattiva nei confronti dei raggi solari.

LA RICERCA - Questa settimana sono stati lanciati in orbita anche due satelliti che permetteranno di colmare alcune lacune nelle nostre conoscenze sulla copertura nuvolosa della Terra. Secondo Raymond Shaw, un fisico dell'atmosfera all'Università delle Tecnologie del Michigan, l'interesse crescente per gli studi meteorologici porterà altri ricercatori nel laboratorio di Leipzig e forse procurerà i fondi necessari per proseguire le ricerche attraverso Lacis.

Fonte: Corriere della Sera

Dai canguri nuovo antibiotico. Potentissimo

E' stato scoperto da ricercatori australiani nel marsupio del wallaby, una variante «piccola» del tipico animale australe

MELBOURNE - Ricercatori australiani del Dipartimento industrie primarie del governo statale di Victoria (Melbourne) hanno trovato un antibatterico 100 volte più efficace della penicillina nel latte dello wallaby, un piccolo canguro. La sostanza, chiamata AGG01, agisce contro un'ampia gamma di funghi e batteri, compresi diversi batteri resistenti agli antibiotici. La scoperta, secondo il suo coordinatore, Ben Cocks, potrebbe avere un profondo impatto sulla salute umana e animale. «Il composto ha il potenziale per essere prodotto commercialmente per sintesi e potrebbe dimostrarsi vitale nella guerra contro le malattie umane e animali, sempre più resistenti ai farmaci attuali», ha aggiunto. «Anche da una prospettiva biologica ed evolutiva - ha osservato l'esperto - la scoperta è notevole perchè non vi è alcun equivalente negli esseri umani o nei bovini. È come se i mammiferi placentari avessero perso nell'evoluzione il gene di tale composto antimicrobico, che questi marsupiali ancora possiedono».

MARSUPIO - La scoperta - ha quindi spiegato Cocks - è stata fatta per caso, mentre l'equipe studiava le proprietà chimiche del latte del Tammar wallaby per determinare come i suoi neonati dal sistema immunitario carente possano acquisire resistenza ai batteri mentre si trovano nel marsupio. Grazie ai dati raccolti in un progetto di mappatura del genoma di questa specie di wallaby, gli studiosi hanno potuto identificare più di 30 fattori nel latte materno che contribuiscono a combattere i batteri. Il composto AGG01 si è rivelato efficace contro il temutissimo stafilococco aureo Meticillino-resistente, oltre che contro altri batteri.

Fonte: Corriere della Sera

In crescita i campi di Ogm al mondo

La superficie piantata a organismi vegetali geneticamente modificati ha raggiunto ormai una dimensione pari a quattro volte quella del Regno Unito e probabilmente aumenterà ancora il prossimo anno con una crescita a due cifre.

Secondo Randy Hautea, il coordinatore globale della International Service for the Acquisition of Agri-Biotech Applications (ISAAA), la superficie è aumentata dell'11 per cento lo scorso anno, toccando quota 90 milioni di ettari. Tra le zone dove aumenta la produzione di Ogm c'è il Brasile, soprattutto per quanta riguarda la soia, e il cotone in India. Qui nell'ultimo anno l'area coltivata è passata da mezzo milione di ettari a un milione e 400 mila ettari.

In Brasile invece l'area coperta dalla soia è passata da cinque milioni di ettari a 9 milioni e 400 mila. Alla lista dei paesi coltivatori si dovrebbe aggiungere quest'anno il Pakistan che inizierà a produrre cotone Ogm. Il valore delle produzioni Ogm crescerà toccando quota cinque miliardi e cinquecento milioni di dollari del 2006 contro un valore di 5 miliardi e 250 milioni di dollari nel 2005.

Dal punto di vista percentuale, la soia geneticamente modificata ormai riguarda il 60 per cento della produzione totale di soia, il 28 per cento il cotone Ogm, il 14 per cento il mais e il 18 per cento la canola. I paesi coltivatori sono stati in totale 21, con gli Usa che coprono più di metà del totale della superficie coltivata con 49,8 milioni di ettari. Seguono l'Argentina con 17,1 milioni di ettari, il Canada con 5,8 e la Cina con 3,3.

Fonte: Città della Scienza

26 aprile 2006

Cina: clonata mucca esente da Bse

«Prodotto» un vitello portatore di un gene che lo rende immune dalla malattia della «mucca pazza»

PECHINO - In Cina sarebbe stata clonata una mucca geneticamente modificata in modo da essere resistente all'encefalopatia spongiforme bovina (Bse), cioè la cosiddetta «malattia della mucca pazza». Lo ha reso noto l'agenzia di stampa ufficiale cinese Xinhua, che ha anche precisato che il vitello pesa 55 chili ed è nato nella provincia orientale di Shandong, presso l'Istituto di scienze agrarie Laiyange. L'esperimento è stato condotto da da Dong Yajuan e Bo Xuejin, a tre anni di distanza dall'esperimento nel quale il gruppo dello scienziato sudcoreano Hwang Woo-suk, recentemente al centro di uno scandalo dovuto alla falsificazione di risultati scientifici, aveva ottenuto una mucca con una proteina resistente alla Bse. Adesso nel clone ottenuto in Cina a partire dalla cellula di una mucca adulta è stato trasferito il gene che protegge dalla malattia. Ad ottenere il risultato è stato lo stesso gruppo di ricerca che nel 2001 era riuscito per la prima volta a clonare una mucca in Cina, in collaborazione con un'università giapponese. Secondo quanto riferito dalla tv cinese dovranno essere condotti ulteriori test per verificare l'efficacia della terapia genica.

VERIFICHE - «Se la notizia fosse confermata, sarebbe di grande portata» commenta il professor Carlo Alberto Redi, ordinario di zoologia e uno dei maggiori esperti italiani di biotecnologie. «Il beneficio del dubbio è necessario perchè una scoperta del genere dovrebbe essere diffusa attraverso una rivista scientifica accreditata (con i relativi criteri di controllo e verifica prima della pubblicazione) e non da un'agenzia di stampa nazionale» spiega l'esperto. «Ma è anche vero che i cinesi sono molto attivi in questo campo, e, tutto sommato, abbastanza credibili».
«Se davvero ci fosse questa mucca resistente alla Bse si aprirebbero prospettive notevoli, perchè significherebbe poter produrre carne rossa con la sicurezza che non sia affetta dalla malattia della mucca pazza»

Fonte: Corriere della Sera

24 aprile 2006

Protette da un Vaccino

È quello contro il papilloma virus, che causa il 70 per cento dei tumori al collo dell'utero. Se verrà approvato, prima negli Stati Uniti e nel 2007 in Europa, sarà una rivoluzione. Perché potrà salvare mezzo milione di donne ogni anno.

Un'iniezione e il rischio, e la paura, di ammalarsi di cancro scompaiono. Sarebbe bello se fosse possibile. E per un particolare tipo di tumore potrebbe succedere presto. Dopo anni di studi, osservazioni e sperimentazioni su volontari, è pronto il vaccino contro il tumore al collo dell'utero. A giugno negli Stati Uniti, e all'inizio del 2007 in Europa, le agenzie sanitarie si pronunceranno sulla messa in commercio dei vaccini preventivi contro il papilloma virus, responsabile della quasi totalità di questi tumori. Per la prima volta appare evitabile una malattia che colpisce ogni anno quasi mezzo milione di donne nel mondo.

Si sa che i vaccini (due in arrivo, prodotti da due diverse industrie farmaceutiche) funzionano nel prevenire l'infezione, forse al di là delle aspettative degli stessi ricercatori, dato che secondo gli studi conferiscono una protezione contro il virus vicina al 100 per cento. Nel caso in cui vengano approvati (gli esperti lo danno per scontato) si aprirà il problema di come utilizzare questa nuova arma, che non servirà a curare chi è già malato, o anche solo infettato dal virus, ma a prevenire l'infezione che, come è noto da trent'anni, è alla base dello sviluppo del tumore al collo dell'utero.

Questo tipo di cancro provoca ogni anno 230 mila morti ed è la prima causa che riduce la vita delle donne nei paesi in via di sviluppo. Diversa è la situazione nei paesi industrializzati, Italia compresa, dove colpisce circa 3.500 donne con 1.800 decessi l'anno. «Non perché da noi sia meno diffuso, ma perché il Pap test, da anni, consente di individuare le lesioni precancerose e di trattarle, prima che si trasformino in tumori veri e propri» spiega Silvia Franceschi, responsabile del Gruppo infezioni e cancro dell'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) di Lione.

Alle donne italiane vengono diagnosticate ogni anno almeno 120 mila lesioni neoplastiche, cui seguono le biopsie per verificare il grado di malignità e i trattamenti. «I carcinomi invasivi sono solo la punta visibile di una grossa base di lesioni che comportano un enorme costo emotivo e medico» aggiunge Franceschi.

Su scala globale l'introduzione di un vaccino rappresenterebbe una rivoluzione per la salute pubblica. «Uno degli interventi più importanti in questo campo» ribadisce Alberto Mantovani, direttore scientifico dell'Istituto Humanitas di Rozzano, immunologo all'Università di Milano e uno dei maggiori studiosi dei legami tra cancro e infiammazione.

Il tumore del collo dell'utero è causato da una famiglia di virus, quelli del papilloma, Human papilloma virus o Hpv in sigla. Questi virus, molto comuni, si trasmettono per via sessuale, ma anche attraverso il semplice contatto della pelle. A metà Ottocento un medico veronese, Domenico Rigoni-Stern, aveva osservato che mentre le donne sposate venivano colpite da questo tumore, alle suore capitava molto più raramente. Nel 1975, per la prima volta, il virologo tedesco Harald zur Hausen associò la presenza del virus con lo sviluppo del tumore alla cervice uterina.

«Ci sono voluti altri dieci anni per stabilire senza ombra di dubbio questa associazione, dieci ancora per identificare i tipi di Hpv coinvolti, infine altri dieci, e siamo a oggi, per arrivare alle soglie di un vaccino» racconta Mantovani. Delle diverse varietà del virus, la maggior parte è legata a malattie benigne come i condilomi, cioè le verruche genitali. Alcune varianti più aggressive provocano lo sviluppo di tumori e il 70-80 per cento circa dei casi di cancro della cervice uterina è legato a un paio di questi tipi, chiamati Hpv 16 e Hpv 18.

Secondo gli studi condotti, oltre metà della popolazione, uomini e donne, entra in contatto con il virus almeno una volta nella vita. Nell'80 per cento dei casi l'infezione guarisce spontaneamente entro un anno senza che la persona infettata se ne accorga. In una piccola percentuale, circa il 5 per cento, invece, l'infezione diventa cronica. E se il tipo di virus è tra i più aggressivi può darsi che si sviluppino lesioni precancerose e, nel tempo, un tumore.

Dei due vaccini in arrivo contro l'infezione da papilloma virus, uno, messo a punto dalla GlaxoSmithKline, che ha richiesto l'autorizzazione in Europa, protegge contro le varianti più pericolose dell'Hpv, la 16 e la 18, e forse anche contro altri due tipi oncogeni simili (Hpv 31 e 45); l'altro, della Merck, oltre che contro le due varianti cancerogene immunizza contro i ceppi del virus che provocano i condilomi.

Il vaccino, di cui tre istituti scientifici, due in America e uno in Australia, rivendicano la paternità, funziona perché mima la struttura del virus. «Non contiene l'informazione genetica, ma è fatto come il virus stesso, in pratica è il suo guscio esterno, e l'organismo gli scatena contro una forte risposta immunitaria» spiega Mantovani.
Negli ultimi cinque anni diverse sperimentazioni cliniche su migliaia di donne in vari paesi hanno appurato che la protezione contro il virus si avvicina al 100 per cento. La vaccinazione consiste in tre iniezioni da ripetere nell'arco di sei mesi. I dubbi rimangono su quanto a lungo valga la protezione, anche se uno studio su The Lancet ha riferito che per il vaccino della Glaxo dura almeno quattro anni e mezzo.

In Italia una commissione al ministero della Salute sta valutando le strategie da adottare con l'arrivo dei vaccini anti Hpv. «Occorrerà decidere se lasciare la scelta alla libera iniziativa o se procedere a una vaccinazione di massa» prevede Franceschi, che fa parte della commissione del ministero e propende per quest'ultima ipotesi. La materia è delicata, anzitutto perché la vaccinazione è destinata a ragazze adolescenti che non hanno ancora iniziato l'attività sessuale. Si sa che l'infezione viene contratta nelle prime fasi della vita sessuale e che la risposta degli anticorpi è maggiore nelle ragazzine che nelle giovani donne.

Qualcuno però pone problemi etici. È stato detto che vaccinare ragazzine contro un'infezione che si trasmette sessualmente sarebbe come dare il via libera al sesso; alcune associazioni in America si sono già espresse contro la promozione della vaccinazione di massa. Problemi che toccano meno da questa parte dell'oceano, anche se ci sono altre questioni da affrontare.
Per esempio: dovrebbero essere vaccinate soltanto le femmine o anche i maschi, visto che sono loro a trasmettere l'infezione? «Perché si fermi la catena dell'infezione, come è accaduto per esempio nel caso del vaiolo, occorre che venga vaccinato almeno il 70 per cento della popolazione. Lasciato all'iniziativa personale il vaccino non raggiungerebbe probabilmente più del 10-20 per cento della popolazione» fa notare Franceschi.

La vaccinazione non rende superfluo, secondo gli esperti, lo screening con il Pap test, ormai pratica comune in molte regioni italiane. Ma si porrà comunque il problema di come integrare le due forme di protezione. «I due vaccini sono efficaci solo contro due delle varietà del virus associate al cancro e, anche se rappresentano il 70 per cento del totale, non si dovrebbe abbassare la guardia contro i tumori provocati da altri tipi» sottolinea Colomba Giorgi, dirigente della ricerca al dipartimento di malattie infettive, parassitarie e immunomediate dell'Istituto superiore di sanità. «Inoltre, le donne non vaccinate dovrebbero comunque continuare lo screening con il Pap test».

L'altro problema, enorme, sta nei costi. Non c'è ancora un prezzo ufficiale del vaccino, anche se si parla di 300-500 dollari a persona. Per i paesi in via di sviluppo, dove non esiste screening e il vaccino avrebbe la massima utilità, si stanno muovendo alcune associazioni, come la Bill Gates Foundation e l'Oms. Nei paesi ricchi, come l'Italia, molto dipenderà dalla scelta se optare per una vaccinazione di massa, e in tal caso il prezzo verrebbe negoziato a livello ministeriale, o venderlo in farmacia.

Fonte: Panorama

18 aprile 2006

Energia, nanogeneratori nel corpo umano

Alcuni ricercatori del celebre Georgia Institute of Technology hanno realizzato nanocosi in grado di trasformare ogni emissione d'energia cinetica in elettricità. Impiantarli nel corpo umano - dicono - non ha controindicazioni

Atlanta (USA) - Zhong Lin Wang, ricercatore presso il GaTech, uno dei più importanti centri di ricerca statunitensi, è riuscito a creare delle nanofibre all'ossido di zinco che trasformano con altissima efficienza l'energia cinetica in elettricità. Ad ogni vibrazione, queste fibre piezoelettriche del diametro di appena 20 nanometri sviluppano immediatamente piccoli quantitativi d'elettricità.

I nanogeneratori all'ossido di zinco, anallergico e non tossico, potrebbero essere utilizzati direttamente all'interno del corpo umano per trasformare i movimenti articolari e muscolari in elettricità per alimentare impianti, come i pace-maker, od altri microdispositivi elettronici. A detta degli scienziati un innesto del genere non provocherebbe nessuna apprezzabile conseguenza fisiologica.

"I nostri corpi trasformano l'energia chimica contenuta nelle molecole di glucosio in energia meccanica per i nostri muscoli", dice Wang, "ed i nanogeneratori potrebbero essere utilizzati per recuperare l'energia meccanica e convertirla in energia elettrica". L'invenzione di Wang è stata trattata con dovizia di particolari nel numero di marzo del prestigioso Science.

"Le truppe armate potrebbero usare i nanogeneratori all'interno delle loro calzature per potenziare gli apparecchi elettronici", dice Wang. Alla stessa maniera, la conversione energetica dei moti oceanici potrebbe presto diventare molto più efficiente rispetto ad oggi ed affrancare l'umanità dalla dipendenza dal petrolio.

"Laddove c'è movimento, con questi nanogeneratori potremmo produrre elettricità in modo semplice ed efficiente", conclude il ricercatore.

Fonte: Punto Informatico

15 aprile 2006

Immortali? Sì, grazie

Ultracentenari felici e intelligentissimi: questo ci attende al varco. Parola di Ray Kurzweil

Se i suoi calcoli dovessero rivelarsi giusti, occorrerà resistere solo altri 14 anni. Quattordici anni in cui dovremo cercare di non ammalarci gravemente, fare del movimento e condurre una vita sana, per conservarci in forma il più possibile. Fumo, alcol, droghe, ovviamente, neppure a parlarne. Sesso non si sa, ma si suppone non sia stato ancora catalogato tra le cose nocive da evitare.
Insomma Ray Kurzweil è tornato con una nuova avvincente puntata sullo sviluppo della razza umana, segnando un punto d’inizio, una data cui guardare come un faro nella notte: il 2020.
Dopo il successo di Fantastic Voyage: Live Long Enough to Live Forever (su Amazon.com), nel quale lo scienziato spiegava come cercare di vivere bene per cercare di vivere per sempre, in The Singularity Is Near: When Humans Transcend Biology (ed. Viking) si parla di come, quando e perché un giorno potremo essere tutti più longevi, intelligenti e con molte più abilità. Ma non esultate troppo: quello sarà solo l’inizio. Per godere della vera rivoluzione tecnico-scientifica che ci trasformerà in ultracentenari geniali e bionici, bisognerà infatti trascinarsi almeno al 2045.

Kurzweil, considerato uno dei pochi geni viventi sulla faccia della Terra, insignito a destra e manca e recentemente definito come "l’unico vero erede di Edison", non ha dubbi: "nel Ventunesimo secolo avremo 20mila anni di progresso al tasso di progresso del Ventesimo secolo". Le tecnologie costeranno sempre meno, saranno sempre più accessibili e, insomma, mettici i nanocosi nel sangue, aggiungici l’intelligenza artificiale e computer superpotenti ancora oggi inimmaginabili, e qualcosa si potrà pur fare per non farci morire. O almeno per farci vivere un po’ più a lungo.

DALL'UOMO 1.0 ALLA RELEASE UOMO 2.0
Nessuno si offenda ma siamo obsoleti. Abbiamo poca memoria, limitate capacità motorie e sensoriali, il nostro corpo è marcescibile e si usura col tempo e non disponiamo attualmente neppure di pezzi di ricambio. Ma - qui arriva il bello - non tutto è perduto.

La triade magica che potrebbe presto risolvere il problema della nostra estrema limitatezza ha un nome o, meglio, una sigla: Gnr. "Gnr", spiega Kurzweil, "sta per genetica (o più propriamente biotecnologia), nanotecnologia e robotica. Ognuna di queste scienze collaborerà presto per l’estensione della vita umana. In un prossimo futuro saremo in grado di ringiovanire i nostri tessuti e gli organi, sconfiggere l’arteriosclerosi, il cancro, migliorare i processi metabolici".

La rivoluzione nanotecnologia raggiungerà la sua maturità nel 2020 e ciò, sempre secondo Kurzweil, ci guiderà per mano oltre i limiti fisici impostici dalla nostra natura biologica, permettendo ai nanobot di viaggiare nelle arterie, correggere gli errori del Dna, distruggere gli agenti patogeni e - udite udite signori chirurghi plastici - invertire il processo d’invecchiamento. Di più: i nostri organi potranno essere sostituiti, come pure porzioni del cervello, da impianti neurali forniti di software specifici e si arriverà a una divisione tra necessità biologiche in senso stretto e funzionalità. "Del resto", prosegue lo scienziato, "in qualche modo noi umani abbiamo già separato la comunicazione e il piacere sessuale dalle sue funzioni biologiche e, quindi, non dovrebbe sorprendere che un domani il tratto gastrointestinale potrebbe essere riservato solo per le delizie della cucina invece che essere continuamente sottoposto alla tediosa funzione di provvedere nutrienti".

Con grande gioia dei maiali, da alcuni anni studiati come possibili serbatoi di organi, anche la robotica giocherà il suo ruolo. Metà uomo e metà robot, saremo così anche molto più intelligenti e il nostro cervello potrà essere soggetto a frequenti back up di dati come oggi l’hard disk del più mansueto pc.

QUALCHE DUBBIO DA CHIARIRE
Come è facile immaginare, i dubbiosi delle teorie kurzweiliane non mancano. Ma il genio, l’ingegnere che ha inventato la Optical Character Recognition, il riconoscimento vocale e anche la sintesi vocale, il vincitore del Premio Lemelson (il corrispettivo del Nobel dell'ingegneria assegnato dal Mit), nonché il fondatore di tre grandi aziende, non si scompone. "La rivoluzione tecnologica e la velocità cui sta viaggiando sono sotto gli occhi di tutti", spiega, "basti pensare che, se ci sono voluti 14 anni per sequenziare l’Hiv, sono bastati solo 31 giorni per sequenziare la recente Sars".

E a quanti oppongono che, se smettessimo di morire, il mondo scoppierebbe per la sovrappopolazione, tranquillo risponde: "La trasformazione tecnologica sarà radicale e non coinvolgerà solo la nostra vita ma anche l’ambiente; saremo in grado di fornire il necessario a ogni popolazione e recuperare i gravi danni ecologici che abbiamo inflitto all’ambiente".
Niente più povertà, fame e inquinamento, il mondo prospettato da Kurzweil suona paradisiaco. Ed è lui stesso a far scoppiare la bolla onirica: "Gli stessi mezzi che miglioreranno il nostro futuro non sono privi di rischi, queste conoscenze avranno un impatto superiore a qualunque bomba atomica e potrebbero anche essere usate per fare del male, non solo del bene, magari da gruppi di bioterroristi".

Così una parte di questo sviluppo dovrebbe essere utilizzato anche per proteggerci e preservarci. Magari attraverso programmi specifici e regole etiche severe, capaci di scongiurare un domani l’uso delle armi batteriologiche o i sistemi non controllati di autoreplicazione dei nanobot. Una sorta di meccanismo nanotecnologico "buono", valido nel neutralizzare i nanobot "cattivi" messi in circolazione clandestinamente.

In conclusione, in un tomo di oltre 600 pagine Kurzweil traccia le linee di un futuro non lontano a venire. Un’umanità nuova, più complessa e articolata, assai meno semplice di quanto non sia quella, di per sé già difficile, che viviamo oggi. Però, nel dubbio, consigliamo di spegnere la sigaretta, svuotare il fondo di gin nel lavandino e infilarsi la tuta da ginnastica, sperando che abbia ragione!

Fonte: Linus.net

Trovata l'area del cervello con cui capiamo i nostri errori

ROMA - Ops, quando la frittata e' fatta e non si puo' tornare indietro una parte del nostro cervello, una parte della corteccia cerebrale (chiamata rostrale cingolata anteriore) si accende e 'segnala' l'errore, soprattutto quando questo ha un costo o comporta delle conseguenze.

Infatti neurologi della University of Michigan hanno scoperto che quest'area corticale del cervello si accende nel momento in cui noi realizziamo di aver commesso un errore. Cio' indica che tale regione e' intimamente legata con la presa coscienza dei nostri sbagli.

In quello che e' il primo studio che evidenzia una zona cerebrale legata alla consapevolezza dei nostri errori, e' spiegato sul Journal of Neuroscience, e' emerso pure che in quanti soffrono di disturbo ossessivo compulsivo questa regione si accende in modo improprio, risultando iperattiva anche quando l'errore non comporta alcuna conseguenza per chi l'ha commesso.

''Sembra che persone con questo disturbo abbiano una risposta cerebrale eccessiva al commettere errori - ha spiegato il team leader Stephan Taylor - risposta che aumenta in modo patologico la preoccupazione di aver fatto qualcosa di sbagliato''.

La corteccia rostrale cingolata anteriore e' una regione del sistema nervoso centrale legata alle emozioni. I ricercatori avevano gia' raccolto pero' alcuni elementi per sospettare di un suo possibile coinvolgimento nell'elaborazione delle emozioni e degli stati d'animo che conseguono a un errore.

Di errori tutti ne commettiamo, alcuni oltre ad essere antipatici, hanno anche delle conseguenze materiali e su cui non si puo' tornare indietro; allora anche se il vecchio adagio dice di non piangere sul latte versato, qualche rimbrotto e recriminazione verso noi stessi e il nostro operato fallace, magari per una semplice distrazione, non ce lo risparmiamo.

Questo atteggiamento puo' anche divenire patologico in individui con certe condizioni mentali come il disturbo ossessivo compulsivo, in cui l'individuo sta sempre sul 'chi va la'' e non si perdona il piu' piccolo sbaglio anche quando questo non comporti reali conseguenze.

Per capire le basi neurologiche di questi problemi gli esperti hanno coinvolto 12 individui sani, chiedendo loro di partecipare a vari tipi di test: in alcuni la risposta esatta significava una ricompensa in denaro, in altri la risposta sbagliata significava una 'multa' in denaro, infine altri test non comportavano ne' ricompense ne' penalita'.

I neurologi hanno eseguito scansioni del cervello dei volontari durante i test ed hanno riscontrato un surplus di attivita' neurale nella corteccia rostrale cingolata anteriore ogni qual volta l'errore comportasse una penalita' o comunque impedisse di accedere a una ricompensa. Quest'area non si accende allo stesso modo quando l'errore non ha un costo.

In un precedente studio su individui con disturbo ossessivo compulsivo, invece, gli esperti avevano rilevato un'insolita iperattivita' dell'area sotto osservazione per qualunque errore sia pur minimo e insignificante che gli individui si trovavano a commettere.

E' evidente che qualche alterazione nell'attivita' di questa regione e' implicata nella malattia, hanno riferito i neurologi. Adesso infatti l'equipe Usa sta arruolando volontari per una sperimentazione clinica per vedere se la terapia comportamentale puo' modificare i pattern alterati di attivazione della corteccia rostrale cingolata anteriore in individui con la condizione maniacale.

''Speriamo che questo genere di studi ci aiuti a capire cosa non funziona nel cervello di questi e altri pazienti'', ha affermato Taylor, per arrivare un giorno a progettare trattamenti su misura del singolo paziente.

Fonte: Ansa

14 aprile 2006

Il ''robot pianta' che mette radici su Marte

Per quello che riguarda la robotica, abbiamo sentito parlare di macchine che emulano atteggiamenti umani, oppure di vari animali come cani o ragni.
Abbiamo visto "organismi" cibernetici atterrare sul suolo di Marte attraverso grandi airbag: e poi li abbiamo seguiti, attraverso i loro stessi occhi elettronici, scorrazzare sul suolo del pianeta rosso con l'ausilio di ruote o cingoli.

E' la prima volta però che si sente, anche solo nominare, un robot pianta.

Due anni fa, il professor Stefano Mancuso della facoltà di agraria dell'università di Firenze, ha fatto una scoperta che ha portato grande curiosità nel mondo scientifico: nelle punte delle radici (tecnicamente chiamate apici) sono state individuate delle cellule che fungono da neuro trasmettitori, analogamente alle sinapsi del cervello.

Questo permette alle piante di avere "atteggiamenti" riconducilbili a quelli umani: sono in grado di allevare i figli, provvedere al proprio sostentamento e manifestare intolleranza verso la flora che non è della stessa specie.

Questa sensazionale scoperta risolverebbe, nel caso si avessero più informazioni certe in mano, complessi problemi etici.

Le sperimentazioni sugli animali, che oggi creano grandi attriti tra animalisti e non, potrebbero essere eseguite, con particolari accorgimenti, sulle piante.

Ma gioco forza, viene in mente anche un'altra affascinante applicazione.

Se si riuscissero ad imitare in un robot gli atteggiamenti di libero arbitrio della flora, si otterrebbero macchine in grado di auto gestirsi in mondi ostili e lontani, e di trasmettere sulla terra le esperienze extraterrestri.

Inviare macchine pianta sul suolo di Marte pare essere la prima applicazione realizzabile.

Questi robot, rilasciati a decine sul suolo marziano, attecchirebbero a terra con delle pseudo radici e analizzerebbero il sottosuolo.

Le foglie che gestirebbero il sostentamento della macchina sarebbero in realtà dei sensori ricoperti da celle fotovoltaiche, in grado di mantenere in funzione il robot per un tempo indefinito; infatti i consumi, eliminando il movimento, sarebbero ridottissimi.

Questo network di robot plantoidi comunicherebbe tra loro, ed alcuni esemplari sarebbero in grado di trasmettere alla terra tutte le informazioni immagazzinate.

Se teniamo conto anche delle dimensioni ridottissime delle macchine, che si aggirerebbero attorno ai 10 centimetri, Il costo delle operazioni sarebbe molto ridotto rispetto a meccanismi in grado di muoversi e contemporaneamente comunicare con la terra.

Resta da vedere se qualcuno avrà l'ardire di credere in un progetto di questo tipo che rivoluzionerebbe il modo in cui ci siamo avvicinati fino ad oggi ai mondi a noi vicini.

E credere in un progetto di questo tipo vuole anche dire avere molti soldi da spendere.

Fonte: Estense

Sono olandesi gli occhiali che ascoltano

Un nuovo concept che inserisce dei processori di segnale nelle stanghette degli occhiali potrebbe trasformare il mondo degli ausili pensati per gli ipo-udenti. Sul mercato entro pochi giorni.

Amsterdam - È di certo troppo parlare di rivoluzione ma chi conosce i problemi degli attuali ausili di supporto agli ipo-udenti non ci impieghierà molto a comprendere l'interesse suscitato da una ricerca olandese, culminata in un nuovo ambizioso dispositivo: l'occhiale che "ascolta".

Gli speciali occhiali Varibel, che prendono il nome dalla società che li commercializza, contengono degli apparati studiati per elaborare il suono in modo molto più avanzato di quanto sia possibile con le tradizionali protesi fin qui utilizzate: all'amplificazione e selezione dei suoni si aggiunge un alto grado di individuazione delle fonti del suono e analisi delle tonalità e della direzione del suono stesso.

L'utilizzo di sensori di rilevazione sulle stanghette, ovvero minuscoli microfoni controllati dal microsistema elettronico contenuto nell'occhiale, consente, ad esempio, di "valorizzare" i suoni che provengono dalla direzione verso cui si sta guardando ("direction sensitivity"): in un locale affollato questo consente, ad esempio, di ridurre moltissimo i disturbi provenienti dall'intero locale "focalizzando l'attenzione" su chi ci si trova dinanzi. Inoltre l'analisi delle tonalità usate da ciascuno, ad esempio, in un consesso di più persone, consente a chi indossa questi dispositivi a "scegliere" chi ascoltare e quando, sottraendosi al rumore di fondo tipico di molte strumentazioni di supporto.

Ma questa sono solo alcune delle possibili applicazioni della tecnologia di Delft realizzate dagli scienziati dell'Università olandese che per primi hanno dato vita ai nuovi occhiali: Varibel li ha trasformati in un prodotto commerciale grazie alla partnership di una serie di altre entità, operatori del settore elettronico e specialisti degli occhiali. Una ricerca ritenuta così importante da ricevere il finanziamento del Ministero olandese della Ricerca.

Le batterie degli occhiali possono essere ricaricate con facilità a casa, lasciando gli occhiali nell'apposita slitta collegata alla rete elettrica.

I nuovi occhiali saranno in vendita in Olanda entro pochi giorni.

Fonte: Punto Informatico

12 aprile 2006

Il "doppio canale" del cervello è sia analogico che digitale

Le cellule cerebrali non 'parlano' tra loro come un telegrafo ma come un vero e proprio telefono. Molto sofisticato.

ROMA - Un "doppio canale", analogico e digitale allo stesso tempo, fa dialogare le cellule del cervello umano. Proprio così: nella macchina più complessa ed efficiente di tutte, le cellule cerebrali non 'parlano' tra loro come un telegrafo, ma piuttosto come un vero e proprio telefono molto sofisticato. A rivelare questo meccanismo, utilizzato dai neuroni per trasmettere nella maniera più efficiente le informazioni, sono i ricercatori della Yale School of Medicine sulla rivista Nature. La scoperta sovverte conclusioni precedenti che attribuivano, a ognuno dei 100 miliardi di neuroni del cervello, solo la capacità di comunicare attraverso un sistema digitale.

"Il cervello - spiega il coordinatore dello studio, David McCormick - usa un sistema di comunicazione molto sofisticato. E questa scoperta ha numerose implicazioni, sia perché aiuta a capire i meccanismi di funzionamento cerebrale, sia perchè permette di gettare nuova luce sulle disfunzioni neuronali". Nel cervello, i neuroni comunicano tra loro attraverso le sinapsi, che rilasciano i neurotrasmettitori che determinano flussi elettrici dentro le cellule nervose. Qui avviene un'altra reazione, che determina un'onda che si propaga nell'assone, cioè lungo le terminazioni neuronali. Dunque si mixano segnali digitali (come le singole 'scosse' elettriche) con quelli analogici, formati da un segnale continuo.

Fonte: Repubblica

Il MIT sviluppa il sensore emotivo

Cambridge (USA) - Una ricercatrice del MIT Media Lab, Rana El Kaliouby, ha sviluppato un piccolo apparecchio portatile che riesce ad analizzare ed individuare con precisione il significato delle espressioni facciali di un interlocutore: se questo si annoia, il dispositivo vibra ed avverte l'utente. Una tecnologia prettamente biometrica, nata da una "necessità delle persone con problemi di tipo autistico", dice El Kaliouby.

"I soggetti affetti da questo tipo di disturbo soffrono moltissimo quando non riescono a capire le emozioni dei propri interlocutori", dice la ricercatrice, "ed è molto triste, perché molte persone evitano di comunicare con gli autistici". L'isolamento della condizione autistica, infatti, innalza una enorme barriera in qualsiasi tipo di comunicazione interpersonale.

L'invenzione di El Kaliouby riesce invece a spezzare il muro dell'autismo e "capta" l'umore dell'interlocutore. Un sofisticato software di riconoscimento facciale, collegato ad una piccola telecamera, costituisce il cuore di questa interessante tecnologia: attraverso l'analisi matematica di varie misure, come ad esempio la distanza tra sopracciglia o l'apertura delle labbra, un apposito algoritmo riesce ad estrapolare un giudizio emotivo su ogni particolare espressione.

Il margine d'errore è ancora alto, in quanto si tratta soltanto di un prototipo, ma nel 64% dei casi l'apparecchio dà risultati positivi ed identifica noia, allegria, sgomento, interesse, fatica, tristezza, concentrazione, paura, sorpresa e disgusto. A breve, Rana El Kaliouby inizierà la sperimentazione di questo strumento, soprannominato sensore emotivo, in previsione di una sua ampia commercializzazione.

Fonte: Punto informatico

Nanoparticelle per combattere il cancro

Ricercatori americani avrebbero messo a punto un sistema che permette di colpire in maniera selettiva delle cellule tumorali con speciali nanomolecole. Queste nanoparticelle sono in grado di distruggere solo le cellule malate e di lasciare integre quelle sane. Ad annunciare la scoperta sono stati un gruppo di ricercatori del MIT and Brigham and Women's Hospital di Boston in un articolo pubblicato dalla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences. Il sistema messo a punto dai ricercatori americani consente di caricare le nanomolecole con dosi letali di farmaci che colpiscono in maniera selettiva le cellule del cancro.
Gli esperimenti sono stati condotti prima su alcune cellule fatte crescere in laboratorio e poi su alcune cavie da laboratorio. I risultati sui topolini sembrano essere particolarmente incoraggianti. Tutti gli animali che hanno partecipato ai test sono infatti sopravvissuti e guariti, mentre quelli che facevano parte del gruppo di controllo sono morti a causa del cancro.
'Una singola iniezione del farmaco associato alle nanomolecole - ha spiegato il principale autore della ricerca, Omid Farokhzad - ha eradicato la malattia in cinque dei sette animali trattati e gli altri due animali malati, hanno avuto una regressione significativa della massa tumorale'.

Fonte: Città della Scienza

10 aprile 2006

Lo specchio che predice il futuro aspetto

Alcuni ricercatori francesi hanno inventato uno specchio che permette di vedere come sarà il proprio volto fra qualche anno

NIZZA (FRANCIA) - Quante volte davanti allo specchio ci siamo chiesti come sarà il nostro aspetto fra dieci anni o comunque quanto cambierà con il passare del tempo. Da oggi non ci si potrà più affidare alla fantasia e soprattutto non ci si potrà consolare con le quotidiane illusioni: alcuni ricercatori francesi infatti hanno inventato e messo in commercio uno specchio che riesce a mostrare, oltre al proprio aspetto, l'immagine del proprio volto nel futuro.

INVENZIONE - L'invenzione elettronica, già chiamata «lo specchio persuasivo» perchè l'immagine futura migliora se si segue un'alimentazione corretta e genuina, ma allo stesso tempo è impiotosa con chi nel corso del tempo non cura la propria salute e la propria immagine. Lo specchio «magico» usa una telecamera e uno speciale software che permettono la riproduzione dell'immagine futura. Così ci si potrà rendere conto quanto le nostre cattive abitudini possano influenzare il nostro futuro aspetto.

IMMAGINE - Per avere un'immagine più vicino alla futura realtà ogni persona può inserire nel software presente nello specchio alcuni dati personali come il proprio regime alimentare , il tempo dedicato alle attività fisica oppure se è un fumatore, quante sigarette al giorno fuma: grazie agli speciali sensori e al programma preimpostato, lo specchio mostrerà diverse immagini in successione, che renderanno visibile ai meno salutisti, il progessivo e veloce decadimento del proprio aspetto fisico

RICERCATORI - I ricercatori sperano che la visione del futuro possa motivare le persone che hanno un tenore di vita dissoluto a cambiare il proprio stile di vita per fare in modo che l'immagine riflessa non diventi realtà. «Lo specchio persuasivo» dice Martin Illsley, direttore di Accenture, la compagnia che commercializza il prodotto, «è uno specchio per il bagno, ma presenta due rilevanti differenze. La prima è che esso è in esso sono presenti diversi sensori molto all'avanguardia. La seconda importante differenza è che lo specchio è digitale e naturlamente quello che esso mostra può cambiare nel corso del tempo. Non bisogna credere che esso mostri esattamente come sarà il nostro aspetto nel futuro, ma come esso potrebbe essere fra cinque o dieci anni»

Fonte: Corriere della sera

04 aprile 2006

Trapiantate vesciche artificiali: create con le cellule dei pazienti

Usa, gli organi biotech impiantati con successo in giovani dai 4 ai 19 anni I ricercatori: "Si elimina il rischio di rigetto e si tagliano le liste d'attesa"

ROMA - Sette vesciche biotech sono state trapiantate con successo in altrettanti giovanissimi, tutti tra i 4 e i 19 anni. L'operazione è stata eseguita negli Stati Uniti dall'equipe medica dell'Istituto di medicina rigenerativa della Wake Forest University School of Medicine. Gli organi, creati in laboratorio a partire da cellule dei pazienti, sono i primi a essere stati impiantati su un essere umano. La ricerca, avviata nel 1999 da Anthony Atala presso il Boston Children's Hospital, è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista The Lancet.

Il trapianto si era reso necessario per i piccoli pazienti affetti da bassa funzionalità della vescica, a causa di un difetto congenito. Sono state impiantate nuove vesciche, costruite coltivando cellule prelevate dagli stessi pazienti in modo da farle aderire su un'impalcatura tridimensionale del tutto simile alla forma di una vescica umana. Per Atala, "questo è solo un primo, piccolo passo lungo la strada della sostituzione dei tessuti e degli organi danneggiati": il suo team sta già lavorando alla coltivazione in laboratorio di altri 20 tipi di tessuto.

L'annuncio di oggi lascia sperare quanti sono in attesa di un trapianto. La produzione di organi a partire dalle cellule degli stessi pazienti non è più solo un'utopia, e in un futuro non lontano potrebbe essere decisiva per risolvere il problema delle liste d'attesa (i donatori sono ancora troppo pochi) e soprattutto quello del rigetto dell'organo, eliminando il rischio di reazioni immunitarie. Secondo il ricercatore americano, inoltre, un impulso decisivo alla costruzione degli organi di laboratorio potrebbe arrivare dall'associazione di cellule staminali e tecniche di ingegneria dei tessuti.

Nello studio appena pubblicato viene presentata la prima consistente casistica, raccolta dallo stesso Atala, che ha avviato il programma di sperimentazione presso l'ospedale pediatrico di Boston quando era direttore dell'unità di Ingegneria dei tessuti dell'università di Harvard. Fu lo stesso gruppo di ricerca, nel 1999, a creare il primo organo bioartificiale, una vescica di cane; esperimenti e trapianti effettuati in seguito sugli animali portarono sempre buoni risultati. Nel 2004 Atala e l'intero programma si sono trasferiti nella Wake Forest University, dove proseguono le ricerche su altri tipi di tessuto.

Fonte: Repubblica

Se il computer funziona «a mente»

Scrivere una mail con la sola forza del pensiero? Sarà possibile grazie a un progetto di un centro di ricerche newyorchese

NEW YORK – E se alla comunicazione non occorresse più la voce per parlare, la mano per scrivere, o il corpo per la gestualità? È quello che potrebbe accadere se il progetto portato avanti dal centro di ricerche Wadsworth Center avesse successo. Si tratta di un'apparecchiatura in grado di comandare un computer con la sola forza del pensiero: per usarlo basterebbero le onde cerebrali. Nessun muscolo deve essere scomodato per scrivere un testo, né per scegliere foto o icone, né per le più svariate attività immaginabili. E immaginare è lecito, anzi, doveroso quando si è proiettati in avveniristici progetti. Attualmente i ricercatori stanno per avviare le sperimentazioni del progetto, e sperano di trovare dai cinque ai dieci volontari per avviare i test in giugno.

UNA INNOVATIVA INTERFACCIA – Se, per diletto o per costrizione, si volesse scrivere una mail con la sola forza del pensiero, sarebbe possibile farlo con l'uso di questo innovativo dispositivo chiamato BCI (brain-computer interface) che consiste in un'apparecchiatura in grado di cogliere l'attività cerebrale attraverso un sistema analogo a quello utilizzato per l'elettroencefalogramma. Tale apparecchiatura è in grado di registrare le informazioni provenienti dalla materia grigia mentre è impegnata in un processo di selezione. L'utente, infatti, attraverso uno schermo sul quale sono proiettate cicli di immagini e lettere in modo rapido e casuale, può scegliere gli elementi di cui ha bisogno per comporre – in questo caso – la mail che desidera inviare. Il sistema, quindi, legge l'attività della corteccia cerebrale mentre l'utente si sofferma e si concentra su uno degli oggetti apparsi sul display, decidendo qual è quello da selezionare. La scelta è quindi del tutto mentale: la focalizzazione del cervello su un determinato elemento provoca un picco nell'andamento dei processi cerebrali. Se il picco sarà confermato anche nel ciclo successivo, il sistema provvederà a passare l'impulso al computer, realizzando così materialmente la scelta effettuata dal soggetto.

ALCUNE PERPLESSITÀ – Le possibili applicazioni sono molte, ma le aspettative più alte si concentrano in ambito medico. Effettivamente un dispositivo di questo genere potrebbe rivelarsi rivoluzionario per molte persone affette da patologie con forti impedimenti fisici, paralisi, lesioni alla spina dorsale. Gli studi di mercato rilevano che almeno 170 mila persone potrebbero avvalersi del dispositivo: la loro vita quotidiana ne sarebbe ampiamente migliorata, nonostante alcuni sostanziali problemi tutti ancora da sbrogliare, a cominciare dalla lentezza del sistema usato. La scrittura, infatti, richiede dai due ai quattro minuti per la composizione di ogni parola. Non ultimo, perché questa novità possa davvero entrare a far parte della vita quotidiana, deve prima raggiungere delle cifre commerciabili; invece attualmente il costo si aggirerebbe fra i 10 e i 13 mila dollari. È vero che con questo progetto i rapporti fra uomo e tecnologia appaiono sempre più intimi, c'è però ancora da attendere perché diventino anche più popolari.

Fonte: Corriere della Sera