Nasce una scienza per identificare i fattori killer. Umberto Veronesi spiega come l'oncogenetica ci salverà la vita.
Un amico mi ha chiesto quali sono i due eventi più importanti che ho registrato finora nella mia vita. Ci ho pensato appena un attimo, e ho risposto: "I viaggi spaziali, con l'evento memorabile dello sbarco sulla Luna, e la scoperta della struttura del Dna, che ha dato luogo alla mappatura del genoma". Dopo quella mia risposta, ci siamo inoltrati in una di quelle affascinanti discussioni in cui i ragionamenti si rincorrono e ognuno vuole parlare per primo. È un retaggio del pensiero tumultuoso dell'adolescenza, e ogni tanto faccio notare agli amici che lo condividono con me, quanto siamo stati fortunati a mantenere questa voglia di discutere, di accalorarci e di sognare.
Naturalmente, quella volta la questione ci ha impegnati a fondo, con tanto di polemiche. Il mio interlocutore mi faceva notare con una certa ironia che entrambe quelle "grandi conquiste" hanno dato finora risultati abbastanza limitati rispetto alle grandi fatiche e alle enormi somme che sono costate. "Vero", gli ho risposto: "Ma sono due eventi che hanno cambiato tutto quello che c'era prima, e chissà dove ci porteranno".
Così, se i viaggi spaziali mi fanno sognare quando d'estate guardo il cielo pieno di stelle, la mappatura del genoma mi mette di fronte ogni giorno, nel mio lavoro scientifico e di medico, a progressive illuminazioni di una materia che prima era rimasta oscura, e ad avanzamenti lenti ma sicuri, il metodico passo dopo passo che è proprio della mentalità scientifica.
Come medico che ha passato tutta la sua vita professionale a lottare contro i tumori, penso che proprio la genetica costituisca l'evento di svolta che ci permetterà infine di vincere la battaglia. Non solo gli addetti ai lavori, ma l'intera collettività può constatare che le ricadute della post-genomica diventano di giorno in giorno più numerose. Per quanto riguarda il cancro, proprio la ricerca biomolecolare resa possibile dalla genetica sta chiarendo la relazione causale tra l'insorgenza di un tumore e l'esistenza di alterazioni genetiche.
Che cosa significa questo, e quale importanza riveste? Fermo restando che il cancro può essere causato da una moltitudine di fattori, in alcuni casi (un numero abbastanza piccolo: tra il 4 e il 10 per cento del totale) la relazione causale tra l'insorgenza di un tumore e l'esistenza di alterazioni genetiche che giocano come fattori predisponenti è ormai ben stabilita, e ci può permettere d'individuare i soggetti a rischio.
I ricercatori di oncogenetica (la genetica applicata all'oncologia) possiedono già una lista di geni le cui anomalie costituiscono la predisposizione a vari tipi di tumori, a volte molto rari, altre volte abbastanza frequenti come quello del seno e del colon. Questa conoscenza offre la possibilità d'identificare i soggetti a rischio a partire dal loro statuto genetico. Si tratta di un grande vantaggio, perché se si ha una storia familiare di tumori ricorrenti, un'indagine genetica potrà permettere di capire se si ha la predisposizione a sviluppare un tumore. In questo caso, non bisogna però temere di 'medicalizzarsi' la vita, né bisogna commettere l'errore di pensare che una semplice predisposizione debba dare giocoforza luogo a un tumore. Semplicemente, un intelligente programma di controlli permetterà di monitorare lo stato di salute, e d'intervenire in modo più che tempestivo nel caso che il tumore si manifesti. Come ormai tutti sanno, un intervento in fase precocissima è praticamente risolutivo, e porta alla guarigione.
Gli esperti di bioetica, a proposito dei test che dimostrano la predisposizione (detti anche test predittivi) si sono interrogati sulla liceità o meno di praticarli. A mio giudizio, il problema esiste solo se non s'instaura un giusto rapporto tra medico e paziente, e comunque tutta la problematica può dirsi riassorbita nella tematica più ampia del consenso informato: nessun test predittivo deve essere praticato se prima il medico non avrà spiegato al paziente qual è il suo valore probatorio (l'indicazione di una predisposizione non lo condanna a sviluppare una malattia certa) e se non si sarà accertato che il paziente abbia capito, e sia d'accordo di sottoporsi all'indagine genetica. Non è nemmeno il caso di ricordare che su tutta questa materia deve esistere il più completo e ferreo segreto professionale, perché è intuibile quali danni verrebbero al paziente se lo si sapesse portatore di un rischio aumentato.
La genetica applicata ai tumori incomincia già ad avere una grande importanza terapeutica quando si tratta di curare i malati. L'analisi genetica del tumore sta cominciando infatti a consentire una diagnosi più raffinata, e ci permette di prevedere la riuscita delle terapie. Per esempio, se sappiamo che a causa di una mutazione genetica un certo tipo di tumore risponde male a una terapia, possiamo fin dall'inizio affrontarlo con sistemi più adeguati e più efficaci. Fino a arrivare - e io credo che questa svolta sia vicina - a una terapia personalizzata, vale a dire pensata su misura per il profilo genetico del tumore da curare. All'Istituto Europeo di Oncologia, di cui sono il direttore scientifico, tutti noi seguiamo con grande interesse le ricerche del professor Pier Giuseppe Pelicci, che qualche anno fa è balzato alla ribalta della cronaca per la scoperta del gene dell'invecchiamento (l'eliminazione di questo gene in un gruppo di topi allunga la vita degli animali del 35 per cento) e che nel 1998 ha ottenuto un premio prestigioso per aver identificato l'oncogene PML/Raralfa della leucemia acuta promielocitica, indicando per questo tipo di leucemia una terapia differenziativa con acido retinoico. Lo stesso gruppo di Milano guidato dal professor Pelicci ha scoperto che nel nostro patrimonio genetico, scritto nel Dna, si formano delle proteine difettose, dette oncoproteine, capaci di attirare sui geni delle proteine enzimatiche (chiamate enzimi guastatori) che inserendo un metile (CH3) scompaginano i geni regolatori, per cui la cellula comincia a moltiplicarsi come una cellula indifferenziata, dando luogo al tumore. Questa scoperta è fondamentale perché siamo arrivati a capire e vedere proprio l'origine del tumore, lì dove comincia a nascere.
Tutte queste scoperte sono lo sviluppo attuale della ricerca biomolecolare, che negli ultimi vent'anni ha acceso le prime luci sulle origini genetiche del cancro. Grazie alla conoscenza del genoma umano si moltiplicano le terapie mirate, in grado d'intervenire sui geni coinvolti nel processo tumorale, senza danneggiare la cellula. Di qui la nascita di una generazione di farmaci meno tossici, a volte meno potenti ma più selettivi, che aiutano a portare avanti una strategia nuova: come per l'Aids, la nuova strada che la medicina sta tracciando è quella di rendere il cancro - quando non è possibile guarirlo - una malattia cronica per la quale ci si cura tutta la vita, come per il diabete o l'ipertensione. Convertire la malattia mortale in una malattia cronica è una tappa culturalmente importante nel cammino verso il controllo della malattia.
Se i nuovi farmaci creati dalle conoscenze della genetica ci aiuteranno a progredire su questa strada, sarà anche una svolta importante a livello psicologico e sociale, perché l'intero capitolo del cancro perderebbe la sua congenita angoscia. Se si diffonde l'idea che il cancro può essere sì sconfitto, ma che in alternativa può anche essere tollerato per anni, allora la sua diagnosi diventa meno sconvolgente, e i pazienti possono affrontare le cure pragmaticamente, con più fiducia.
Se questa è la fotografia attuale, che io considero molto incoraggiante e assai più piena di speranza rispetto alla situazione anche di un solo decennio fa, penso anche che i prossimi anni e i prossimi decenni costituiranno per la cura del cancro e di molte altre malattie una vera svolta nella storia della Medicina. Quando si potrà arrivare alla terapia genica, che permetterà di sostituire i geni malati, l'intero modo di curare cambierà radicalmente.
Accanto a questa prospettiva che non credo miracolistica, ma assolutamente e razionalmente probabile, un altro grande aiuto verrà dagli studi sulle cellule staminali e sulla clonazione terapeutica delle cellule. Dall'epoca in cui il monaco agostiniano Gregor Mendel (nato nel 1822, morto nel 1884) dimostrò l'ereditarietà dei caratteri e mise le basi della genetica, è stata fatta una lunga strada, che ha portato per l'umanità grandi benefici. Ora dobbiamo guardare avanti, perché una metà del cammino è ancora da percorrere. Ed è un'avventura tutta da vivere.
Fonte: L'Espresso
Naturalmente, quella volta la questione ci ha impegnati a fondo, con tanto di polemiche. Il mio interlocutore mi faceva notare con una certa ironia che entrambe quelle "grandi conquiste" hanno dato finora risultati abbastanza limitati rispetto alle grandi fatiche e alle enormi somme che sono costate. "Vero", gli ho risposto: "Ma sono due eventi che hanno cambiato tutto quello che c'era prima, e chissà dove ci porteranno".
Così, se i viaggi spaziali mi fanno sognare quando d'estate guardo il cielo pieno di stelle, la mappatura del genoma mi mette di fronte ogni giorno, nel mio lavoro scientifico e di medico, a progressive illuminazioni di una materia che prima era rimasta oscura, e ad avanzamenti lenti ma sicuri, il metodico passo dopo passo che è proprio della mentalità scientifica.
Come medico che ha passato tutta la sua vita professionale a lottare contro i tumori, penso che proprio la genetica costituisca l'evento di svolta che ci permetterà infine di vincere la battaglia. Non solo gli addetti ai lavori, ma l'intera collettività può constatare che le ricadute della post-genomica diventano di giorno in giorno più numerose. Per quanto riguarda il cancro, proprio la ricerca biomolecolare resa possibile dalla genetica sta chiarendo la relazione causale tra l'insorgenza di un tumore e l'esistenza di alterazioni genetiche.
Che cosa significa questo, e quale importanza riveste? Fermo restando che il cancro può essere causato da una moltitudine di fattori, in alcuni casi (un numero abbastanza piccolo: tra il 4 e il 10 per cento del totale) la relazione causale tra l'insorgenza di un tumore e l'esistenza di alterazioni genetiche che giocano come fattori predisponenti è ormai ben stabilita, e ci può permettere d'individuare i soggetti a rischio.
I ricercatori di oncogenetica (la genetica applicata all'oncologia) possiedono già una lista di geni le cui anomalie costituiscono la predisposizione a vari tipi di tumori, a volte molto rari, altre volte abbastanza frequenti come quello del seno e del colon. Questa conoscenza offre la possibilità d'identificare i soggetti a rischio a partire dal loro statuto genetico. Si tratta di un grande vantaggio, perché se si ha una storia familiare di tumori ricorrenti, un'indagine genetica potrà permettere di capire se si ha la predisposizione a sviluppare un tumore. In questo caso, non bisogna però temere di 'medicalizzarsi' la vita, né bisogna commettere l'errore di pensare che una semplice predisposizione debba dare giocoforza luogo a un tumore. Semplicemente, un intelligente programma di controlli permetterà di monitorare lo stato di salute, e d'intervenire in modo più che tempestivo nel caso che il tumore si manifesti. Come ormai tutti sanno, un intervento in fase precocissima è praticamente risolutivo, e porta alla guarigione.
Gli esperti di bioetica, a proposito dei test che dimostrano la predisposizione (detti anche test predittivi) si sono interrogati sulla liceità o meno di praticarli. A mio giudizio, il problema esiste solo se non s'instaura un giusto rapporto tra medico e paziente, e comunque tutta la problematica può dirsi riassorbita nella tematica più ampia del consenso informato: nessun test predittivo deve essere praticato se prima il medico non avrà spiegato al paziente qual è il suo valore probatorio (l'indicazione di una predisposizione non lo condanna a sviluppare una malattia certa) e se non si sarà accertato che il paziente abbia capito, e sia d'accordo di sottoporsi all'indagine genetica. Non è nemmeno il caso di ricordare che su tutta questa materia deve esistere il più completo e ferreo segreto professionale, perché è intuibile quali danni verrebbero al paziente se lo si sapesse portatore di un rischio aumentato.
La genetica applicata ai tumori incomincia già ad avere una grande importanza terapeutica quando si tratta di curare i malati. L'analisi genetica del tumore sta cominciando infatti a consentire una diagnosi più raffinata, e ci permette di prevedere la riuscita delle terapie. Per esempio, se sappiamo che a causa di una mutazione genetica un certo tipo di tumore risponde male a una terapia, possiamo fin dall'inizio affrontarlo con sistemi più adeguati e più efficaci. Fino a arrivare - e io credo che questa svolta sia vicina - a una terapia personalizzata, vale a dire pensata su misura per il profilo genetico del tumore da curare. All'Istituto Europeo di Oncologia, di cui sono il direttore scientifico, tutti noi seguiamo con grande interesse le ricerche del professor Pier Giuseppe Pelicci, che qualche anno fa è balzato alla ribalta della cronaca per la scoperta del gene dell'invecchiamento (l'eliminazione di questo gene in un gruppo di topi allunga la vita degli animali del 35 per cento) e che nel 1998 ha ottenuto un premio prestigioso per aver identificato l'oncogene PML/Raralfa della leucemia acuta promielocitica, indicando per questo tipo di leucemia una terapia differenziativa con acido retinoico. Lo stesso gruppo di Milano guidato dal professor Pelicci ha scoperto che nel nostro patrimonio genetico, scritto nel Dna, si formano delle proteine difettose, dette oncoproteine, capaci di attirare sui geni delle proteine enzimatiche (chiamate enzimi guastatori) che inserendo un metile (CH3) scompaginano i geni regolatori, per cui la cellula comincia a moltiplicarsi come una cellula indifferenziata, dando luogo al tumore. Questa scoperta è fondamentale perché siamo arrivati a capire e vedere proprio l'origine del tumore, lì dove comincia a nascere.
Tutte queste scoperte sono lo sviluppo attuale della ricerca biomolecolare, che negli ultimi vent'anni ha acceso le prime luci sulle origini genetiche del cancro. Grazie alla conoscenza del genoma umano si moltiplicano le terapie mirate, in grado d'intervenire sui geni coinvolti nel processo tumorale, senza danneggiare la cellula. Di qui la nascita di una generazione di farmaci meno tossici, a volte meno potenti ma più selettivi, che aiutano a portare avanti una strategia nuova: come per l'Aids, la nuova strada che la medicina sta tracciando è quella di rendere il cancro - quando non è possibile guarirlo - una malattia cronica per la quale ci si cura tutta la vita, come per il diabete o l'ipertensione. Convertire la malattia mortale in una malattia cronica è una tappa culturalmente importante nel cammino verso il controllo della malattia.
Se i nuovi farmaci creati dalle conoscenze della genetica ci aiuteranno a progredire su questa strada, sarà anche una svolta importante a livello psicologico e sociale, perché l'intero capitolo del cancro perderebbe la sua congenita angoscia. Se si diffonde l'idea che il cancro può essere sì sconfitto, ma che in alternativa può anche essere tollerato per anni, allora la sua diagnosi diventa meno sconvolgente, e i pazienti possono affrontare le cure pragmaticamente, con più fiducia.
Se questa è la fotografia attuale, che io considero molto incoraggiante e assai più piena di speranza rispetto alla situazione anche di un solo decennio fa, penso anche che i prossimi anni e i prossimi decenni costituiranno per la cura del cancro e di molte altre malattie una vera svolta nella storia della Medicina. Quando si potrà arrivare alla terapia genica, che permetterà di sostituire i geni malati, l'intero modo di curare cambierà radicalmente.
Accanto a questa prospettiva che non credo miracolistica, ma assolutamente e razionalmente probabile, un altro grande aiuto verrà dagli studi sulle cellule staminali e sulla clonazione terapeutica delle cellule. Dall'epoca in cui il monaco agostiniano Gregor Mendel (nato nel 1822, morto nel 1884) dimostrò l'ereditarietà dei caratteri e mise le basi della genetica, è stata fatta una lunga strada, che ha portato per l'umanità grandi benefici. Ora dobbiamo guardare avanti, perché una metà del cammino è ancora da percorrere. Ed è un'avventura tutta da vivere.
Fonte: L'Espresso
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