05 gennaio 2006

Primo organo creato da staminali

È una ghiandola mammaria che produce latte. L'esperimento sui topi. Bordignon: «Dobbiamo imparare a controllarne la crescita»

La «fabbrica degli organi» comincia a muovere i primi passi. Prova e riprova, finalmente qualcuno c'è riuscito: da una cellula staminale adulta si è creato un organo funzionante. Con le diverse cellule specializzate (derivate dalla stessa staminale) al posto giusto per svolgere la loro complessa e sinergica funzione. Una ghiandola mammaria che produce latte. Il tutto nei topi. Per ora. Il lavoro è pubblicato dalla prestigiosa rivista scientifica Nature. E la notizia fa effetto, non solo agli addetti ai lavori: per la prima volta una sola cellula staminale è riuscita e rigenerare un intero organo in un animale vivo, la ghiandola mammaria di un topo. «Non parlerei di organo ma di tessuto mammario funzionante — avverte Claudio Bordignon, direttore scientifico dell'Istituto San Raffaele di Milano, esperto a livello internazionale di terapia genica e di staminali —. E', comunque, un lavoro fondamentale. Un passo avanti su cui lavorare». Il risultato, che promette di avere ricadute interessanti anche nella ricerca sui meccanismi di formazione dei tumori, è stato raggiunto da una collaborazione scientifica tra Australia, Canada e Stati Uniti, coordinata da Jane Visvader, dell'Istituto di ricerca medica «Walter and Eliza Hall» di Parkville (Australia).

ISOLAMENTO E TRAPIANTO - Gli studiosi sono riusciti prima ad isolare le cellule staminali dalla ghiandola mammaria di un topo e quindi le hanno marcate in modo da renderle riconoscibili in ogni fase successiva dell'esperimento. Quindi le hanno trapiantate in topi vivi, nei quali le cellule hanno cominciato a moltiplicarsi fino a formare una ghiandola mammaria completa e perfettamente funzionante, in grado di produrre latte. Moltiplicarsi e differenziarsi (o meglio specializzarsi) nelle varie componenti attive o strutturali di una ghiandola mammaria. La «marcatura» delle cellule staminali iniziali con un frammento di Dna poi riconoscibile è un «trucco» delle sperimentazioni di questo genere: serve a dimostrare che non sono entrate in gioco altre cellule dell'animale in cui sono state «iniettate» le staminali. Cellule, per esempio, delle ghiandole mammarie. E questo per verificare che il tessuto creato abbia tutto la stessa matrice d'origine. E' un punto chiave della validazione del lavoro. «Il nostro studio — spiega Jane Visvader — fornisce la prima descrizione, per quanto ci risulta, della ricostituzione di un intero organo a partire da una singola cellula staminale epiteliale». In topi utilizzati come modello del tumore del seno, i ricercatori si sono accorti inoltre che cellule staminali di questo tipo erano più numerose nel tessuto pre-canceroso del seno: un'osservazione che suggerisce come queste cellule potrebbero essere coinvolte nella comparsa di tumori.

ARMA A DOPPIO TAGLIO - «Ecco uno dei problemi da studiare — interviene Bordignon —. Il modello messo a punto dal gruppo guidato dalla Visvader può essere definito il prototipo di un'arma a doppio taglio». Che cosa vuol dire? Bordignon entra nel merito: «Noi sappiamo che le staminali hanno un grandissimo potenziale, ma ancora non siamo in grado di controllarle così come avviene in natura. In altri termini, il tessuto mammario creato funziona ma non risponde alla programmazione di un organismo». Per esempio, in una bambina la mammella si sviluppa senza però essere attiva. Poi, nella donna fertile, è pronta a secernere latte, ma resta ferma fino a quando non c'è una gravidanza e un parto. E, alla fine, a bimbo svezzato torna silente. Insomma, le cellule rispondono a comandi di attivazione e di inibizione fondamentali. «Se noi non siamo in grado di controllare le fasi di trasformazione e crescita delle staminali — conclude Bordignon — rischiamo di innescare una mutazione in cellule precancerose, non più sensibili ai meccanismi di inibizione e blocco».

Fonte: Corriere della Sera

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