
La nuova frontiera del doping? È l’atleta geneticamente modificato. «Per quanto ne sappiamo, atleti del genere potrebbero già esistere», dice a Newton Theodore Friedmann, dell’Università della California di San Diego, tra i maggiori esperti internazionali di trasferimento genico. Forse non li vedremo in questi Mondiali di calcio, ma gli esperti li aspettano alle Olimpiadi di Pechino 2008 o al massimo in quelle successive. Dal ciclismo al sollevamento pesi, al nuoto, al calcio, allo sci tutti gli sport potrebbero trarre vantaggio dalla manipolazione genetica: basta selezionare il gene che migliora il tipo di prestazione richiesta. Del resto, nemmeno il doping convenzionale fa distinzioni: circa il 2%degli atleti risulta sempre positivo a una sostanza.
INCOGNITE E PERICOLI - Il doping genetico è il lato oscuro di terapie (peraltro sperimentali) come quella contro la distrofia muscolare e funziona nello stesso modo: si inserisce nelle cellule, per esempio di un muscolo, un segmento di Dna contenente un gene utile a migliorarne le prestazioni. Mezzo di trasporto un virus che, infettando le cellule, vi deposita il materiale genetico integrandolo con quello dell’ospite. E il gioco è fatto, almeno in teoria. Perché la manipolazione genetica può riservare amare sorprese come è accaduto nella terapia di una gravissima forma di immunodeficienza: la sostituzione del gene malato con uno sano, trasportato da un virus, ha dato inizialmente risultati positivi; ma dopo qualche anno alcuni pazienti si sono ammalati di leucemia. «Il problema è che gli studi fatti finora sono a livello sperimentale», conferma Friedmann, «e i rischi sono imprevedibili. La terapia genica è nata per sostituire i geni malati con quelli sani, ma nessuno sa cosa potrebbe accadere inserendo geni sani in persone sane. I muscoli, per esempio, potrebbero anche divenire più fragili o essere più soggetti a traumi». E aggiunge Oliver Rabin, direttore scientifico dell’Agenzia mondiale antidoping (Wada): «Esperimenti di manipolazione genetica sui fiori e sugli insetti suggeriscono che a volte la natura reagisce azzerando tutte le risposte. Per esempio, il tentativo di inserire copie extra del gene che dà il colore viola a un certo fiore, porta al risultato paradossale di fiori totalmente bianchi. È semplicemente troppo quello che si chiede alla cellula».
TENTAZIONI - Eppure la tentazione è forte. Il doping genetico va fatto una sola volta nella vita. Inoltre fino a oggi non può essere scoperto attraverso i classici controlli. «In realtà, una volta messi a punto i test, gli atleti si troverebbero con un doping incancellabile e identificabile», sostiene Rabin, perché non c’è modo di eliminare il gene «dopante» dalle cellule.
Questa operazione è infatti possibile solo su un batterio, cioè un organismo di una sola cellula, ma non su un intero muscolo composto da milioni di cellule, con un Dna vasto come quello umano. A ogni buon conto nel 2003 il doping genetico è stato ufficialmente incluso nella lista nera delle sostanze proibite dell’Agenzia mondiale antidoping.
UN POSSIBILE PRECEDENTE Marzo 2006: il doping genetico potrebbe aver già fatto il suo ingresso nel mondo dello sport. Il tedesco Thomas Springstein, allenatore e compagno di Grit Breuer, due volte campionessa europea dei 400 metri e squalificata per doping, viene condannato per aver dato sostanze dopanti alle sue atlete. Nelle sue e–mail parla di un prodotto per la terapia genica dell’anemia grave, sperimentato solo sui topi, ma presente sul mercato nero. Il farmaco funziona così: quando la pressione dell’ossigeno nel sangue si abbassa, promuove l’attivazione di un gene che a sua volta induce la produzione di eritropoietina (Epo).
L’Epo ha il compito di favorire il trasporto di ossigeno ai muscoli; una volta ripristinato l’equilibrio, il gene si spegne. «Il farmaco», dice Oliver Rabin, «è pericolosissimo, non essendo mai stato sperimentato sugli esseri umani ma solo sui topi».
IL TALENTO DEI GENI Buona parte del successo di un atleta si nasconde nel suo patrimonio genetico. Per esempio, poco più di un anno fa, studiando il gene ACTN3, la compagnia australiana Genetic Technologies ne ha scoperta una variante, la R577, molto frequente in chi pratica sport di resistenza. Al contrario, la versione regolare di ACTN3 è presente in gran parte degli scattisti e degli atleti di potenza. Secondo questo studio, sarebbe possibile eccellere nell’uno o nell’altro sport a seconda della determinante genetica. Per 66 euro, la Genetic Technologies offre un test casalingo per sapere quale gene si possiede, aprendo così uno scenario inquietante: la possibilità per chi possiede il gene «sbagliato» di farsi iniettare quello «giusto» e l’identificazione di atleti che verrebbero esclusi a priori da un certo tipo di attività sportiva per mancanza di geni adatti.
LA PRIMA SCOPERTA - Nel 1998 Lee Sweeney, ricercatore alla University of Pensylvania, scopre che inserendo nei muscoli dei topolini da laboratorio il gene della proteina IGF–1, i muscoli aumentano la loro forza fino al 30 per cento. IGF–1 è l’acronimo di Insulin Like Growth Factor–1, un ormone dalle molteplici funzioni che ha un ruolo essenziale nella crescita della massa muscolare. Nel 2005 Se–Jin Lee, della Johns Hopkins University, ha scoperto che rimuovendo il gene della miostatina nei topi, i muscoli, privati del segnale di controllo esercitato dalla proteina, iniziano a crescere a dismisura. Questi supertopi sono capaci di salire le scale con grossi pesi attaccati alla coda.
IL DNA CHE POTENZIA I MUSCOLI - Il gene IGF-1 ha il compito di riparare il muscolo, quando, durante l’esercizio, subisce microscopici traumi. La proteina IGF-1, prodotta dal gene, provoca la crescita del muscolo stimolando lo sviluppo delle sue cellule staminali di riserva. La fibra si ripara e cresce, ritrovandosi con più miofibrille rispetto a prima della lesione. Il segnale di stop alla crescita viene dato dalla proteina miostatina. L’inserimento del gene IGF–1 extra permetterebbe di aggirare il meccanismo di equilibrio, inducendo l’ipertrofia del muscolo e la crescita incontrollata delle fibre. Ma se l’IGF–1 arrivasse fino al cuore, potrebbe provocare addirittura la morte.
I PRIMI TEST SUGLI ANIMALI - I primi test efficaci sugli animali
Sono stati già realizzati test in grado di individuare il doping genetico sugli animali da laboratorio, tuttavia non sono ancora affidabili e riproducibili sull’uomo, anche perché richiederebbero una biopsia muscolare. «Ma siamo a buon punto», sostiene Oliver Rabin, direttore scientifico dell’Agenzia mondiale antidoping. «L’inserimento di una copia extra di un gene lascia tracce identificabili nella biochimica della cellula, così come le lascia il virus usato come mezzo di trasporto. Inoltre la proteina prodotta può essere differente da quella originale e alterare il sistema immunitario. Recentemente è stato inserito un gene per l’eritropoietina (Epo) nel muscolo e nella retina delle scimmie. Ebbene, l’eritropoietina prodotta è stata identificata perché era molto diversa da quella fabbricata naturalmente dal rene».
GLI STUDI ITALIANI - Nel Dipartimento di Farmacologia dell’Università di Milano Antonello Rigamonti e il suo gruppo stanno verificando sui topolini un algoritmo, basato su alcuni segnalatori biochimici, in grado di identificare la somatotropina (l’ormone della crescita) prodotta con la manipolazione genetica. Tale algoritmo consente già di sapere se un atleta è stato sottoposto a un trattamento «tradizionale» con somatotropina.
Fonte: Corriere della Sera
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