31 maggio 2006

USA, braccia bioniche per i mutilati di guerra

Un braccio meccanico, innervato di circuiti elettronici, in grado di sostituire la sua controparte biologica. Fantascienza? Non per gli scienziati della DARPA, l'unità scientifica dell'esercito statunitense che negli anni sessanta ha dato vita ad Internet.

Il Pentagono ha infatti lanciato un progetto di ricerca, chiamato "Revolutionizing Prosthetics", dagli obiettivi ambiziosi: creare protesi bioniche entro e non oltre il 2009, per restituire una vita normale ai mutilati di guerra delle missioni in Iraq.

Il costo dell'iniziativa è di 55 milioni di dollari, stanziati dal governo per formare un'equipe di ricercatori d'eccellenza provenienti dai migliori atenei del paese. "Questo braccio sarà differente da qualsiasi tipo di protesi artificiale mai realizzata", dice Greg Clark, uno degli ingegneri impegnati nel progetto: "I suoi movimenti saranno naturali e fluidi, in quanto verrà collegato direttamente al cervello del suo utilizzatore".

Il braccio sarà innestato direttamente sui centri nervosi del paziente, all'altezza della spalla. Gli impulsi provenienti dal cervello del paziente verranno "captati" ed interpretati da uno speciale microprocessore: la centralina elettronica azionerà vari micromotori all'interno del braccio bionico, simulando le dinamiche del sistema muscolare umano.

Equipaggiati con questo dispositivo, i pazienti potranno controllare le braccia bioniche con precisione ed affidabilità. Clark garantisce che l'uso della protesi sarà esattamente uguale a quello di un braccio "vero". Gli scienziati prevedono di realizzare anche mani e dita robotiche, così da offrire funzionalità prensili estremamente simili a quelle umane.

"Ci agganciamo a quel che rimane dei nervi e dobbiamo ingannare il cervello", spiega il Col. Geoffrey Ling della DARPA, "perché un braccio amputato è uguale ad una cornetta del telefono staccata dalla base: il telefono funziona ancora, basta ricollegare una nuova cornetta e si potrà nuovamente chiamare".

"I nostri soldati sono abituati a subire gravi ferite sul campo di battaglia", dice il Col. Ling, "ma non c'è niente di più devastante della perdita permanente di un braccio: con questo sistema, daremo finalmente sollievo a tutti quei soldati che stanno soffrendo". In futuro, secondo gli esperti, i risultati ottenuti dal progetto "Revolutionizing Prosthetics" potranno aprire un ventaglio di possibilità e nuove speranze anche per i civili.

Fonte: La Stampa

26 maggio 2006

Ecco il mantello che rende invisibili. Una molecola "piega" i fasci luminosi

Scienziato inglese scopre un materiale che nasconde gli oggetti. La luce viene deviata lambendo l'oggetto che "scompare". Utile anche per perfezionare microscopi e fotografie. Negli anni '60 il russo Veselago aveva intravisto la scoperta

ROMA - Non è ancora il mantello che rende trasparente Harry Potter, ma ci stiamo avvicinando. L'immaginifico fisico John Pendry dell'Imperial College di Londra ha trovato la ricetta dell'invisibilità. Il suo segreto - spiega su Science - sta in un materiale capace di piegare la luce a proprio piacimento. Una superficie con proprietà elettromagnetiche tali da deviare i fasci luminosi, farsene lambire e poi costringerli a tornare nella direzione originaria: come se l'oggetto attraversato non esistesse.

Questa danza della luce, descritta in maniera convincente al tavolino, sul piano pratico è stata tradotta solo in rozzi prototipi, finanziati tra gli altri dal dipartimento della difesa Usa. Appaiono come cerchi, spirali, cilindri e minuscole sfere affiancati tra loro o immersi in materiali dalle proprietà elettromagnetiche simili all'aria.

"Credevamo di aver scoperto tutto sull'elettromagnetismo" dice Roberto Olmi dell'Istituto di fisica applicata del Cnr di Firenze. "Fino a quando non si è aperta la strada ai metamateriali: strutture che assumono proprietà fisiche sconosciute in natura, grazie a una particolare disposizione delle componenti microscopiche".

Se immergiamo un bastone nell'acqua ci appare spezzato. "Da un bastone immerso in un metamateriale si otterrebbe un'immagine opposta rispetto a quella riflessa dall'acqua. In termini tecnici diciamo che puntiamo a ottenere un indice di rifrazione negativo" spiega Olmi. Toccando i tasti giusti su questo pianoforte, è possibile rendere trasparenti tutti gli oggetti. "Per il momento - prosegue il ricercatore del Cnr - sapremmo farlo solo "cancellando" un colore alla volta. Ma sovrapponendo strati diversi del metamateriale adatto, ognuno specifico per un colore, potremmo realizzare il vero mantello invisibile".

L'oggetto si presenterà come un puzzle di strutture geometriche simili ad anelli aperti e minuscoli cilindri. Ognuno di essi sarà capace di catturare e deviare il proprio fascio di luce. Anche se, come spiega Pendry, utilizzare il mantello sarà tutt'altro che facile: "Per essere invisibili dobbiamo indossarlo, ma se lo indossiamo non possiamo guardare fuori. Senza contare la difficoltà di ritrovarlo dopo averlo tolto".

I risultati raggiunti oggi partono da lontano. "Alla fine degli anni '60 - racconta Giuseppe Molesini dell'Istituto nazionale di ottica applicata del Cnr - il fisico russo Victor Veselago aveva teorizzato tutto questo, senza avere nessuno dei mezzi di cui disponiamo oggi. I suoi studi sono stati ripresi solo trent'anni più tardi. Molte delle prove sperimentali dimostrano che aveva visto giusto". Se poi il mantello invisibile dovesse risultare del tutto inutile, i metamateriali potranno sempre servire a costruire microscopi potenti e fotografie tecnicamente perfette.

Fonte: Repubblica

Usa. Iowa. Candidato governatore apre alla clonazione terapeutica

Il candidato democratico a governatore Mike Blouin ha detto lo scorso 13 maggio di essere favorevole alla modifica delle leggi dell'Iowa per permettere agli scienziati di creare embrioni umani per la ricerca.

L'ex-direttore per lo sviluppo economico dello Stato, che lo scorso anno aveva espresso il suo sostegno ad una messa al bando di questo tipo di procedura, ha detto che la sua posizione rappresenta la consapevolezza che l'Iowa rimane sempre piu' indietro nel campo della ricerca rispetto a molti altri Stati. "La legge e' antiquata", ha detto Blouin. "La dobbiamo aggiornare per permettere la ricerca sulla clonazione terapeutica".

L'argomento e' al centro di una battaglia fra Blouin ed il Segretario di Stato Chet Culver. Il 21 maggio, Culver ha lanciato una serie di attacchi accusando Blouin di essere sulle stesse posizioni di Bush in tema di ricerca con le cellule staminali. Durante una intervista lo scorso novembre, Blouin aveva infatti detto di essere favorevole al mantenimento di una legge varata quattro anni prima che tuttora vieta la creazione artificiale di embrioni umani per la coltivazione di cellule staminali.

All'epoca Blouin aveva detto di sostenere la ricerca con le cellule staminali e di ritenere la legge in vigore sufficiente. "Se lasciamo la legge cosi' come e', noi permetteremo tutta la ricerca di cui abbiamo bisogno". Allo stesso tempo, Culver, allora candidato alla nomination democratica a governatore, disse di voler eliminare il divieto.

Ora anche Blouin, poche ore dopo l'attacco di Culver, ha detto di essere aperto all'idea di modificare la normativa vigente.

Fonte: Cellule Staminali

25 maggio 2006

Honda: questa è l'interfaccia neurale

Il gigante giapponese parla di successo eclatante per i suoi esperimenti: la nuova interfaccia collega cervello e macchina. Funziona misurando l'irrorazione sanguigna delle aree cerebrali

Tokyo - I ricercatori di Honda hanno sviluppato una interfaccia neurale progettata per il controllo di macchine, dispositivi elettronici e soprattutto robot. Si chiama BMI, Brain Machine Interface , ed il suo funzionamento si basa sul rilevamento dell'attività cerebrale. "L'uso di questa macchina non richiede né interventi chirurgici né allenamenti particolari", dicono i portavoce di Honda. A differenza del chip cerebrale , l'apparecchio di Honda non è assolutamente invasivo.

Il dott. Yukiyasu Kamitami, inventore dell'interfaccia, è infatti riuscito ad assemblare un sensore a risonanza magnetica che identifica con estrema precisione l'irroramento sanguigno delle varie regioni cerebrali. Il meccanismo fondamentale di questo avveniristico sistema di comando è concettualmente molto semplice: se ad ogni attività umana corrisponde una maggiore sollecitazioni di aree specifiche del cervello e se BMI riesce a riconoscere quando queste zone entrano "in funzione", il passo successivo è trasformare questi output in impulsi digitali. Da questo punto di vista, BMI sembra molto simile all' interfaccia non invasiva sviluppata da alcuni ricercatori di New York, negli Stati Uniti.

Nell'esperimento condotto dall'equipe di Kamitami, che lo considera un "eccezionale passo in avanti nello studio dei legami possibili tra uomo e macchina", il soggetto equipaggiato di BMI è stato in grado di muovere un braccio del celebre robot Asimo, sviluppato dalla stessa Honda, semplicemente muovendo le proprie mani. L'interfaccia è riuscita a captare con una precisione dell'85% i movimenti delle mani del soggetto, al quale è stato richiesto di "simulare una partita di morra cinese".

Il risultato, dicono i ricercatori, è stato strabiliante: sebbene con un tempo di risposta molto lungo, pari a 7 secondi, il braccio robotico collegato a BMI è stato in grado di simulare con cura le varie "giocate" del soggetto. BMI ha "capito" se il soggetto stesse "lanciando" carta, forbici o sasso. Questo perché, spiegano gli scienziati di Honda, "è molto più facile rilevare l'attività cerebrale conseguente ad un gesto che quella conseguente ad un pensiero astratto".

Fonte: Punto informatico

Germania. La ricerca sulle staminali tenta la carta degli embrioni imperfetti

Joachim Mueller-Jung ha scritto una corrispondenza per la Frankfurter Allgemeine Zeitung, di cui riportiamo una traduzione

Forse qualcuno si aspettava una parola chiara da Rudolf Jaenisch e Hans Schoeler riguardo allo scandalo coreano della clonazione. L’occasione era importante, essendo il primo incontro, in terra tedesca, dell’élite internazionale delle staminali dopo lo scandalo di Seoul che, in un solo colpo, ha riportato la “clonazione terapeutica” concreta a mera ipotesi. Ma nel padiglione della Muensterlandhalle, eletta per l’occasione dal Nordrhein-Westfalen a importante tribuna scientifica, la drammaturgia era di altro segno. Come a dire… la Corea e’ lontana. Il convegno era chiamato a dimostrare dinamismo biopolitico e un convinto spirito progressista. Il tono l’ha dato Rudolf Jaenisch, il biologo tedesco che al Massachusetts Institute of Technology di Cambridge e’ stato un pioniere della genetica e della clonazione, e da molti e’ considerato lo spiritus rector della ricerca sulle staminali.

Egli non ha lasciato spazio al minimo dubbio sul fatto che, nonostante tutte le possibili falsificazioni, un giorno si arrivera’ alla cosiddetta clonazione terapeutica, vale a dire alla produzione di cellule staminali dello stesso paziente mediante trasferimento nucleare. Quel giorno non e’ lontano, e non importa dove succedera’ ne’ come. Preferibilmente senza ricorrere agli ovociti, ma con la semplice riprogrammazione delle cellule del paziente. O, ancora prima, probabilmente con un procedimento che negli ultimi mesi ha raccolto grande attenzione, l’“Altered Nuclear Transfer” (il trasferimento nucleare alterato). Di che si tratta? Attraverso interventi sul genoma, dovrebbe essere possibile produrre un embrione incompleto, ossia non idoneo a svilupparsi pienamente. Jaenisch sa bene che anche nelle proprie fila si dubita che la formazione di “embrioni mutilati” possa eliminare il problema etico che accompagna la ricerca sulle staminali; molti pensano che si tratti pur sempre della distruzione di una potenziale vita umana. E’ dunque impossibile superare l’ostacolo?

Qui e’ intervenuto Hans Schoeler, organizzatore del convegno, direttore per l’Istituto Max-Planck del settore di biomedicina molecolare, con un ruolo importante nella ricerca sulle staminali e con responsabilita’ anche politiche. Schoeler ha rilanciato al mondo politico ed etico un’offerta ritenuta a lungo troppo vaga: la produzione di cellule staminali embrionali da ovociti, ottenute prima di approdare allo stadio di totipotenza (il criterio fondamentale della legge tedesca che tutela l’embrione). Il tutto senza ricorrere a manipolazione genetica. Schoeler e i suoi collaboratori hanno sperimentato questo procedimento sui topi. Il punto centrale e’ il gene Cdx2, la cui attivita’ e’ decisiva nelle successive fasi di sviluppo per la formazione della placenta e quindi per l’annidamento dell’embrione nell’utero. Il suo gruppo ha scoperto che questo gene normalmente si attiva subito dopo la fecondazione, quando i pre-nuclei materno e paterno sono ancora divisi nell’ovocita e la loro fusione non e’ ancora avvenuta. Da un punto di vista giuridico questi stadi non sono considerati come totipotenti. Sicche’, intervenendo in questa fase con un nuovo procedimento biotecnologico chiamato Interferenza RNS, si possono ottenere “palline di cellule staminali” e, alcuni giorni dopo, “cisti di cellule staminali”, che non potranno mai svilupparsi in embrioni. In compenso, forniranno cellule staminali.

E anche in buon numero, come ha constatato la collaboratrice di Schoeler, Guangming Wu: dalle precoci proto-palline di cellule staminali si ricava il 50% in piu’ di staminali embrionali rispetto alle comuni blastocisti. Schoeler ritiene che quest’intervento sull’ovocita spalanchi anche la porta alla cosiddetta clonazione terapeutica. Il trasferimento del genoma dei nuclei cellulari del paziente precederebbe infatti l’attivazione del gene Cdx2. Cosi’ resterebbe tempo sufficiente per disattivare il gene nel nucleo da trapiantare, e quindi sbarrare la strada all’evoluzione completa dell’embrione.

Cancellando letteralmente lo sviluppo potenziale in embrione, si potra’ cancellare anche qualsiasi scrupolo morale? Non e’ solo Schoeler ad auspicarlo. Come si e’ potuto chiaramente constatare a Muenster, al di la’ delle simpatie nazionali per le staminali adulte che sono scevre da problemi etici, le cellule embrionali rimangono pur sempre l’ultima ratio dell’ingegneria cellulare.

Fonte: Cellule Staminali

23 maggio 2006

Usa, una gara tra muli clonati e "naturali"

WINNEMUCCA (Stati Uniti) - In giugno a Winnemucca, Nevada, si terrà una gara di corsa tra muli alla quale parteciperanno, tra gli altri, Idaho Gem e Idaho Star, clonati dallo stesso Dna.

LA STORIA - Nel 2001 un mulo di nome Taz, di proprietà di Don Jackline, vinse la gara della California State Fair. Don Jackline voleva continuare a vincere con un successore del suo Taz, ma essendo i muli il risultato di un'ibridazione tra una cavalla e un asino sono sterili. Si rivolse allora al Northwest Equine Reproduction Laboratory di Moscow, Idaho, il quale in collaborazione con la University of Idaho e la Utah State University creò un team di genetisti e scienziati per cercare di portare a termine ciò che nessuno prima di allora era riuscito a fare: clonare un equino.

FIOCCO AZZURRO - Il 4 maggio 2003 venne alla luce Idaho Gem, il risultato della clonazione di un embrione di 45 giorni frutto dell'accoppiamento degli stessi genitori di Taz. Il pool di scienziati clonò altri due muli dallo stesso Dna. Uno di questi venne chiamato Idaho Star. I due gemelli "artificiali" sono stati tenuti separati per due anni, in modo da poter valutare l'incidenza di variabili come la dieta o i metodi di addestramento sullo sviluppo delle loro qualità di corridori. Gli esperti di questo settore comunque sottolineano che non vi è alcuna garanzia che i cloni, solo perché hanno un corredo genetico da campioni, lo siano anche sul campo. Qualunque sia l'esito della competizione, il successo di Idaho Star e Idaho Gem sarà quello di arrivare a essere muli tra i muli. Vinca il migliore.

Fonte: Corriere della Sera

19 maggio 2006

Staminali: Muscolo,Embrionali Umane Trasferite In Topi

Cellule staminali embrionali umane sono state trasformate, in laboratorio, in cellule del muscolo scheletrico e quindi iniettate in topi con muscoli lesionati.

Non soltanto le nuove cellule sono riuscite a riparare il danno, ma si sono perfettamente integrate con le altre cellule dell'animale e si sono mantenute sicure e stabili.

Il risultato, che getta basi concrete verso il futuro uso clinico delle cellule staminali embrionali, e' stato ottenuto da Tiziano Barberi negli Stati Uniti, dove il ricercatore lavora presso lo Sloan-Kettering Institute di New York.

''Abbiamo ottimizzato le condizioni per ottenere le cellule del muscolo scheletrico, un passo molto importante per le applicazioni cliniche future'', ha osservato Barberi, che ha presentato i risultati oggi a Pavia nel convegno internazionale sulle cellule staminali organizzato dai dipartimenti di Scienze chirurgiche e di Biologia animale.
I nuovi dati sono lo sviluppo di un lavoro pubblicato dallo stesso Barberi lo scorso anno . Naturalmente c'e' ancora tantissima strada da fare nella ricerca prima di trasformare le cellule staminali in cure, ancora tanti test da fare sugli animali per verificare l'efficacia, ma essere riusciti a controllare e stabilizzare la crescita di queste cellule primitive getta le basi per tutti i test futuri e trasforma l'idea dell'uso terapeutico di queste cellule in un'ipotesi di lavoro concreta.

In laboratorio i ricercatori hanno fatto sviluppare le cellule staminali embrionali umane fino ad ottenere le cellule muscolari allo stadio piu' maturo (mioblasti) e da queste hanno poi ottenuto fibre muscolari rudimentali. Quindi le cellule dei muscoli sono state trasferite in topi che avevano serie lesioni muscolari e che appartenevano a un ceppo di sistema immunitario indebolito in modo da accettare le cellule umane. Una proteina luminosa chiamata luciferasi, la stessa utilizzata dalle lucciole, ha permesso ai ricercatori di seguire in modo non invasivo l'andamento delle cellule muscolari trapiantate nei muscoli tibiali dei topi. L'obiettivo era controllare la sopravvivenza delle cellule e soprattutto verificare se si integravano con il muscolo dell'animale. I risultati positivi ottenuti, ha detto Barberi, sono ''il primo passo per dimostrare che dalle cellule staminali embrionali umane si possono ottenere cellule specializzate e che queste, una volta inserite nell'animale, si integrano e svolgono la loro funzione''.

Il prossimo passo sara' trapiantare le cellule in topi nei quali sono riprodotte malattie degenerative dei muscoli. ''In questo modo potremo vedere se le cellule sono in grado di integrarsi e se si verifica un effetto terapeutico'', ha osservato Barberi, che ha lasciato l'Italia otto anni fa e che sta per trasferirsi dallo Sloan-Kettering al Beckman Research Institute of the City oh Hope, a pochi chilometri da Los Angeles.
Si tratta, ha aggiunto, di ''un ulteriore passo verso la possibilita' di verificare l'enorme potenziale delle cellule embrionali. Con questo lavoro abbiamo dimostrato che siamo in grado di controllarle e di ottenere una progenie specializzata e che, una volta trasferite negli animali, queste cellule mantengono le loro caratteristiche''. Una volta purificate, le cellule prendono la loro strada nello sviluppo e non si alterano: e' ''un'ottima indicazione sulla possibilita' di poter utilizzare in futuro le cellule staminali embrionali per la cura di malattie. Fino a due o tre anni fa - ha concluso - non sapevamo se queste cellule avrebbero potuto mantenere le loro promesse. Ma adesso siamo finalmente in grado di farle differenziare selettivamente, di manipolarle in vitro, abbiamo dimostrato che sono stabili e che una volta trasferite si integrano nell'organimo che le riceve''

Fonte: Yahoo Notizie

13 maggio 2006

Feto sano grazie alla genetica nascerà senza cancro ereditario

Gb, primo caso di embrione 'selezionato' per evitare tumore alla retina. Il concepimento in provetta, poi i test per individuare i geni 'cattivi'

LONDRA - I genitori non hanno ancora scelto il nome, ma è certo che il feto nel grembo di una donna britannica nascerà senza alcuna forma di cancro ereditario. La madre, pur non presentando problemi di fertilità, si è sottoposta a una terapia genetica e alla fertilizzazione in vitro per evitare che il futuro bebè soffrisse della sua stessa forma di tumore alla retina, il retinoblastinoma, che si manifesta entro il primo anno di vita. E' la prima volta che questa tecnica, già sperimentata con successo negli Stati Uniti, viene applicata in Gran Bretagna.

Dagli embrioni creati dalla coppia, i medici dello University College Hospital di Londra hanno prelevato alcune cellule, sottoposte a una serie di test genetici per individuare quelli che avevano ereditato il cancro, di modo che solo gli embrioni sani fossero poi impiantati nell'utero della donna. I dottori hanno assicurato che il piccolo non contrarrà il tumore della retina. "Siamo euforici", ha detto Paul Serhal, responsabile del trattamento. "In questo modo possiamo estirpare la catena del tumore dall'intera linea familiare".


Fino a un anno fa, la Human Fertilisation and Embryology Authority (HFEA), autorità governativa per controllo della fecondazione assistita, permetteva cure di questo tipo solo nei casi in cui non esistevano dubbi che sulla possibilità di sviluppare la malattia, come nel caso della fibrosi cistica. Recentemente, però, la HFEA ha concesso il ricorso allo screening genetico anche nei soggetti ad alto rischio di contrarre alcuni tipi di tumore: al seno, alle ovaia e al colon, o - come in questo caso - all'occhio. Così, i pazienti con mutazioni genetiche strettamente connesse al rischio di sviluppare malattie tumorali possono almeno evitare che i propri figli ereditino la stessa sorte.

Accolta con grande enfasi dalla comunità scientifica, la decisione governativa ha suscitato le polemiche di gruppi di bioetica. "Non possiamo dimenticare che in questo modo si autorizza alla vita un solo embrione, mentre gli altri non hanno lo stesso diritto di venire al mondo", spiega Josephine Quintavalle, membro del Comment on Reproductive Ethics, associazione che difende i diritti dell'embrione.

Fonte: Repubblica

12 maggio 2006

Usa: premio 50mln per auto idrogeno

WASHINGTON, 11 MAG - Un premio milionario a chi inventa tecnologie d'avanguardia per veicoli a idrogeno: e' la sfida americana alla propria fame d'energia. La Camera Usa ha approvato l'H-Prize, un programma da 50 milioni di dollari per stimolare gli Archimede americani. Lo stanziamento prevede un superpremio da 10 milioni di dollari e vari da 1 a 4 milioni da assegnare nei prossimi 10 anni a innovazioni tecnologiche che permettano di rendere una realta' l'utilizzo nelle strade di auto ad idrogeno.

Fonte: Libero

10 maggio 2006

Roboanimali al pascolo nelle campagne europee

Lo garantisce Jean-Louis Deneubourg, coordinatore di un progetto di ricerca finanziato dalla Commissione Europea. Mucche e polli cibernetici sono già all'orizzonte: rilanceranno la produzione agricola nell'Unione Europea

Bruxelles - Un branco di animali di metallo e silicio si staglia nel futuro dell'Unione Europea. Fantascienza? Niente affatto: secondo Jean-Louis Deneubourg, coordinatore del progetto LEURRE finanziato dalla Commissione Europea, "l'allevamento di bestiame in Europa può sopravvivere solo se associato all'alta tecnologia", ma soprattutto se sposerà "l'uso di robot in grado di interagire con gli animali".

Deneubourg, professore presso la Université libre de Bruxelles, è alla guida del team d'esperti europei che ha realizzato i microautomi chiamati InsBot , gli scarafaggi robotici capaci di comunicare con i loro simili biologici. Lo sviluppo di InsBot rappresenta la punta di diamante negli studi europei che vagliano le infinite possibilità offerte dall' interazione tra macchina ed animale . Il sogno che anima il progetto LEURRE è antico ed affascinante: modificare radicalmente la biosfera, giocando in buona sostanza il ruolo di divinità.

"Il nostro obiettivo principale", fa notare Deneubourg, "è di sviluppare robot autonomi che cooperino con gli animali e soprattutto riescano ad influenzarne il comportamento". I roboanimali del futuro non solo avranno le sembianze di veri esseri viventi, ma dovranno essere in grado di "svolgere numerose operazioni a contatto con le loro controparti naturali", dice il ricercatore. Dalla mungitura fino alla guida dei pascoli, dal controllo comportamentale dei capi di bestiame fino all'assistenza veterinaria: sarà una vera e propria rivoluzione.

"Bisogna sviluppare macchine capaci di gestire contemporaneamente un'intera gamma di stimoli sensoriali e biochimici, siano essi di tipo biologico o artificiale", spiega Deneubourg. Gli esemplari di InsBot, ad esempio, utilizzano feromoni artificiali per condizionare e manipolare il movimento delle colonie di scarafaggi. "Finora abbiamo dimostrato che un agente artificiale, in questo caso un robot, è riuscito a modificare il comportamento collettivo di particolari insetti", ricorda Deneubourg riferendosi esplicitamente al progetto InsBot.

Il prossimo passo è quindi scontato: manipolare mammiferi ed altre categorie di viventi , così da massimizzare la produzione agricola ed offrire numerose opportunità di ricerca e sperimentazione ad etologi, biologi ed ingegneri robotici. "I risultati degli esperimenti condotti con InsBot", conclude il direttore del progetto LEURRE, "rendono chiaro che questo tipo d'iniziative permettono un approfondimento generale di numerose branche scientifiche, dallo sviluppo di sistemi informatici fino alla comprensione dei meccanismi di comunicazione animale".

Fonte: Punto informatico

08 maggio 2006

Androide donna Q-2



Vi ricordate dell'androide donna creata dal Prof. Hiroshi Ishiguro presentata all'Expo2005 di Aichi? Ebbene il progetto dell'androide donna è passato dal modello Q-1 al modello Q-2. Guardate attentamente il filmato. Notevole vero?

03 maggio 2006

Si apre l'era del doping genetico

Esistono già animali con muscoli potenziati dal Dna. Gli esperti non si aspettano casi a questi Mondiali ma a Pechino 2008

La nuova frontiera del doping? È l’atleta geneticamente modificato. «Per quanto ne sappiamo, atleti del genere potrebbero già esistere», dice a Newton Theodore Friedmann, dell’Università della California di San Diego, tra i maggiori esperti internazionali di trasferimento genico. Forse non li vedremo in questi Mondiali di calcio, ma gli esperti li aspettano alle Olimpiadi di Pechino 2008 o al massimo in quelle successive. Dal ciclismo al sollevamento pesi, al nuoto, al calcio, allo sci tutti gli sport potrebbero trarre vantaggio dalla manipolazione genetica: basta selezionare il gene che migliora il tipo di prestazione richiesta. Del resto, nemmeno il doping convenzionale fa distinzioni: circa il 2%degli atleti risulta sempre positivo a una sostanza.

INCOGNITE E PERICOLI - Il doping genetico è il lato oscuro di terapie (peraltro sperimentali) come quella contro la distrofia muscolare e funziona nello stesso modo: si inserisce nelle cellule, per esempio di un muscolo, un segmento di Dna contenente un gene utile a migliorarne le prestazioni. Mezzo di trasporto un virus che, infettando le cellule, vi deposita il materiale genetico integrandolo con quello dell’ospite. E il gioco è fatto, almeno in teoria. Perché la manipolazione genetica può riservare amare sorprese come è accaduto nella terapia di una gravissima forma di immunodeficienza: la sostituzione del gene malato con uno sano, trasportato da un virus, ha dato inizialmente risultati positivi; ma dopo qualche anno alcuni pazienti si sono ammalati di leucemia. «Il problema è che gli studi fatti finora sono a livello sperimentale», conferma Friedmann, «e i rischi sono imprevedibili. La terapia genica è nata per sostituire i geni malati con quelli sani, ma nessuno sa cosa potrebbe accadere inserendo geni sani in persone sane. I muscoli, per esempio, potrebbero anche divenire più fragili o essere più soggetti a traumi». E aggiunge Oliver Rabin, direttore scientifico dell’Agenzia mondiale antidoping (Wada): «Esperimenti di manipolazione genetica sui fiori e sugli insetti suggeriscono che a volte la natura reagisce azzerando tutte le risposte. Per esempio, il tentativo di inserire copie extra del gene che dà il colore viola a un certo fiore, porta al risultato paradossale di fiori totalmente bianchi. È semplicemente troppo quello che si chiede alla cellula».

TENTAZIONI - Eppure la tentazione è forte. Il doping genetico va fatto una sola volta nella vita. Inoltre fino a oggi non può essere scoperto attraverso i classici controlli. «In realtà, una volta messi a punto i test, gli atleti si troverebbero con un doping incancellabile e identificabile», sostiene Rabin, perché non c’è modo di eliminare il gene «dopante» dalle cellule.
Questa operazione è infatti possibile solo su un batterio, cioè un organismo di una sola cellula, ma non su un intero muscolo composto da milioni di cellule, con un Dna vasto come quello umano. A ogni buon conto nel 2003 il doping genetico è stato ufficialmente incluso nella lista nera delle sostanze proibite dell’Agenzia mondiale antidoping.

UN POSSIBILE PRECEDENTE Marzo 2006: il doping genetico potrebbe aver già fatto il suo ingresso nel mondo dello sport. Il tedesco Thomas Springstein, allenatore e compagno di Grit Breuer, due volte campionessa europea dei 400 metri e squalificata per doping, viene condannato per aver dato sostanze dopanti alle sue atlete. Nelle sue e–mail parla di un prodotto per la terapia genica dell’anemia grave, sperimentato solo sui topi, ma presente sul mercato nero. Il farmaco funziona così: quando la pressione dell’ossigeno nel sangue si abbassa, promuove l’attivazione di un gene che a sua volta induce la produzione di eritropoietina (Epo).
L’Epo ha il compito di favorire il trasporto di ossigeno ai muscoli; una volta ripristinato l’equilibrio, il gene si spegne. «Il farmaco», dice Oliver Rabin, «è pericolosissimo, non essendo mai stato sperimentato sugli esseri umani ma solo sui topi».

IL TALENTO DEI GENI Buona parte del successo di un atleta si nasconde nel suo patrimonio genetico. Per esempio, poco più di un anno fa, studiando il gene ACTN3, la compagnia australiana Genetic Technologies ne ha scoperta una variante, la R577, molto frequente in chi pratica sport di resistenza. Al contrario, la versione regolare di ACTN3 è presente in gran parte degli scattisti e degli atleti di potenza. Secondo questo studio, sarebbe possibile eccellere nell’uno o nell’altro sport a seconda della determinante genetica. Per 66 euro, la Genetic Technologies offre un test casalingo per sapere quale gene si possiede, aprendo così uno scenario inquietante: la possibilità per chi possiede il gene «sbagliato» di farsi iniettare quello «giusto» e l’identificazione di atleti che verrebbero esclusi a priori da un certo tipo di attività sportiva per mancanza di geni adatti.

LA PRIMA SCOPERTA - Nel 1998 Lee Sweeney, ricercatore alla University of Pensylvania, scopre che inserendo nei muscoli dei topolini da laboratorio il gene della proteina IGF–1, i muscoli aumentano la loro forza fino al 30 per cento. IGF–1 è l’acronimo di Insulin Like Growth Factor–1, un ormone dalle molteplici funzioni che ha un ruolo essenziale nella crescita della massa muscolare. Nel 2005 Se–Jin Lee, della Johns Hopkins University, ha scoperto che rimuovendo il gene della miostatina nei topi, i muscoli, privati del segnale di controllo esercitato dalla proteina, iniziano a crescere a dismisura. Questi supertopi sono capaci di salire le scale con grossi pesi attaccati alla coda.

IL DNA CHE POTENZIA I MUSCOLI - Il gene IGF-1 ha il compito di riparare il muscolo, quando, durante l’esercizio, subisce microscopici traumi. La proteina IGF-1, prodotta dal gene, provoca la crescita del muscolo stimolando lo sviluppo delle sue cellule staminali di riserva. La fibra si ripara e cresce, ritrovandosi con più miofibrille rispetto a prima della lesione. Il segnale di stop alla crescita viene dato dalla proteina miostatina. L’inserimento del gene IGF–1 extra permetterebbe di aggirare il meccanismo di equilibrio, inducendo l’ipertrofia del muscolo e la crescita incontrollata delle fibre. Ma se l’IGF–1 arrivasse fino al cuore, potrebbe provocare addirittura la morte.

I PRIMI TEST SUGLI ANIMALI - I primi test efficaci sugli animali
Sono stati già realizzati test in grado di individuare il doping genetico sugli animali da laboratorio, tuttavia non sono ancora affidabili e riproducibili sull’uomo, anche perché richiederebbero una biopsia muscolare. «Ma siamo a buon punto», sostiene Oliver Rabin, direttore scientifico dell’Agenzia mondiale antidoping. «L’inserimento di una copia extra di un gene lascia tracce identificabili nella biochimica della cellula, così come le lascia il virus usato come mezzo di trasporto. Inoltre la proteina prodotta può essere differente da quella originale e alterare il sistema immunitario. Recentemente è stato inserito un gene per l’eritropoietina (Epo) nel muscolo e nella retina delle scimmie. Ebbene, l’eritropoietina prodotta è stata identificata perché era molto diversa da quella fabbricata naturalmente dal rene».

GLI STUDI ITALIANI - Nel Dipartimento di Farmacologia dell’Università di Milano Antonello Rigamonti e il suo gruppo stanno verificando sui topolini un algoritmo, basato su alcuni segnalatori biochimici, in grado di identificare la somatotropina (l’ormone della crescita) prodotta con la manipolazione genetica. Tale algoritmo consente già di sapere se un atleta è stato sottoposto a un trattamento «tradizionale» con somatotropina.

Fonte: Corriere della Sera

01 maggio 2006

E se arrivassero i robot per fare sesso ?

Da un convegno tenutosi a San Francisco, eminenti sessuologi americani hanno affermato che, entro dieci anni, saranno disponibili veri e propri partner artificiali pronti a soddisfare ogni fantasia proibita.

1969: David Reuben, sessuologo, scrive un manuale dall’intrigante titolo: “Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso”. Pochi anni dopo, è il 1972, Woody Allen ne ricava un film, aggiungendo al titolo originale del libro la postilla: “ma che non avete mai osato chiedere”.

Il film è strutturato in sei episodi, per sei domande che spaziano nel vasto mondo della sessualità umana. “Funzionano gli afrodisiaci?”. “E’ disdicevole amare gli animali?”.

Se Allen preparasse un remake del film, trasportato nella società dei nostri giorni, allora dovrebbe aggiungere una settima, semplice domanda: “Si può fare sesso con un robot?”.

Ormai lo diamo quasi per scontato: il destino della tecnologia è quello di rivoluzionare ogni aspetto della nostra vita, sessualità compresa. Nel nostro caso, tuttavia, si va ben oltre le chat su internet o i blog usati come strumenti per conoscersi e scoprirsi.

Da un convegno tenutosi a San Francisco, eminenti sessuologi americani hanno affermato che, entro dieci anni, saranno disponibili veri e propri partner artificiali pronti a soddisfare ogni fantasia proibita. Persino le esperienze virtuali di “Strange Days”, al confronto, sembrano appartenenti ad un’era ormai decaduta.

Julia Heiman, ricercatrice presso l'Università dell'Indiana, spiega che è ormai aperta una strada per la realizzazione (entro il 2016) di strumenti di auto-erotismo che mettano a disposizione partner dotati delle caratteristiche desiderate. Fantascienza à la “Blade Runner”? Più o meno.

Già ora la tecnologia permette di utilizzare un computer per comandare stimolatori di piacere come i vibratori. La Sinulator Entertainment offre servizi del genere, attraverso una connessione ad internet di alcuni marchingegni appositi.

Domanda: “e in tutto questo dove va a finire l’aspetto mentale del sesso?”
Virtual Jenna è un videogioco che consente (ad utenti strettamente maggiorenni) di avere veri e propri rapporti sessuali con una realistica copia virtuale della nota pornodiva americana Jenna Jameson. Grazie ad una sapiente fusione tra video a luci rosse e stimoli sensoriali, l’aspirante focoso amante può stimolare persino l’apparato genitale della biondissima attrice.

Il ricercatore Carl DiSalvo, dottorando in design presso l'Università Carnegie Mellon, ha realizzato un automa in grado di simulare gli abbracci e, ovviamente, le sue prospettive possono essere ben più hard. A questo punto entra in gioco anche Marvin Minsky, pioniere degli studi sull’intelligenza artificiale, convinto che, saltando completamente l’ambito fisico, si possa ricreare nella mente le sensazioni di un rapporto sessuale coinvolgente e completo.

“Esiste la tendenza a spingere le persone al di fuori delle relazioni sociali…”- avverte il sessuologo John Cagnon- “creando rapporti simulati che di fatto mortificano l’essenza dell’umanità, che è la socialità, ossia la capacità di relazionarsi con gli altri”. Gli fa eco la collega Carol Queen, che aggiunge: “Credo che un mondo in cui la gente ricerchi il piacere con le macchine invece che con gli altri abbia un che di terribilmente orwelliano…e non credo che questo sia ciò che le persone desiderano”.

A parte la solita diatriba tra “apocalittici” e “integrati”, un altro piccolo passo per una società che cambia quasi sempre in base ai suoi strumenti tecnologici. Se poi cambi in meglio o in peggio, non è dato saperlo.

Fonte: Webmasterpont