20 luglio 2006
Documentario sull'allungamento della vita (Life Extension)
Bellissimo documentario in inglese sulla Life Extension (allungamento della Vita) sviluppato dall'Immortality Istitute di Atlanta in Georgia, United States. Vengono esposte ricerche scientifiche che porteranno all'allungamento della vita. Altri temi trattati: criogenia, il Transumanismo, la Singolarità, i Cyborg, le Nanotecnologie ed altro ancora.
Video animazione sulle Nanotecnologie
Interessantissimo video-animazione su una "Nanofabrica" prodotto dalla Nanorex in collaborazione con il Foresight Institute . Il video descrive una vista animata di un nanofactory e dimostra i punti chiave di un processo che converte le semplici molecole in un computer. Nel prossimo futuro, questo tipo di tecnologia ci permetterà di creare qualsiasi oggetto, alimento, vestiti ecc.
19 luglio 2006
Qrio e Asimo (robot ballerini) e non solo
Ecco due filmati sui progressi in ambito della robotica. Qrio sviluppato dalla Sony ed Asimo dalla Honda. Nel prossimo futuro, oltre che essere utilizzati in ambito dell'intrattenimento puro, i futuri robot saranno capaci di sostituire l'essere umano nei lavori manuali, permettendo quindi di guadagnare tempo e di gioire sempre più di questo meraviglioso pianeta che è la Terra.
17 luglio 2006
Ecco la proteina "infermiera" così ripara il Dna danneggiato
ROMA - Si fa presto a dire uomo: con 50mila miliardi di cellule, 500 miliardi delle quali vengono sostituite ogni giorno, in teoria basterebbero 100 giorni per fare di noi un'altra persona. E non basta nemmeno considerare il Dna come filo conduttore di una vita: il codice genetico, che si duplica ogni volta che una cellula si scinde, verrebbe stravolto dagli errori di copiatura in pochi giorni, se non fosse per un meccanismo di correzione degli sbagli estremamente efficiente.
È questa struttura la vera custode dell'identità di un individuo, e i ricercatori svedesi del Karolinska Institutet guidati da Camilla Sjögren ne hanno appena svelato una componente fondamentale: il complesso di proteine Smc5/6, capace di individuare gli errori sulla doppia elica e ripararli.
Il complesso interviene in realtà come meccanico di scorta. La prima linea nelle operazioni di riparazione è costituita da una sorta di trenino fatto di enzimi, che percorre la doppia elica come fosse un binario. Laddove incontra delle incongruenze si ferma, apporta le sue correzioni e poi riparte. Ma questo non basta, e dagli sbagli di copiatura non corretti possono nascere malattie come i tumori.
"Una cellula cancerosa - spiega Sjögren, che pubblica la sua ricerca su "Molecular Cell" - spesso ha delle aberrazioni nei cromosomi attribuibili a errori di copiatura". In questi casi è compito di Smc5/6 intervenire: i ricercatori svedesi, nel loro laboratorio, hanno messo le proteine all'opera su frammenti di Dna appositamente danneggiati. "Abbiamo scoperto - commenta Sjögren - uno dei meccanismi essenziali per la nostra stabilità genetica".
Pur essendo molto efficiente, il meccanismo di copiatura dei cromosomi sbaglia una "lettera" ogni milione, laddove il genoma completo ne contiene circa 4 miliardi. "Un numero molto basso di errori, eppure sufficiente ad accumularne 4mila per ogni replicazione. Cioè a far andare alla deriva una vita dopo pochi cicli di divisione cellulare", commenta Ernesto Di Mauro, genetista all'università La Sapienza di Roma e direttore scientifico della fondazione Cenci Bolognetti.
"Il meccanismo di correzione messo in atto dalla natura ha in sé qualcosa di geniale. Gli errori di copiatura infatti non sono necessariamente negativi. È grazie agli sbagli che ci siamo evoluti, passando dallo stato di batteri a quello di uomini". Il doppio meccanismo di correzione, per quanto sofisticato, deve dunque farsi sfuggire un numero infinitesimo e casuale di variazioni. "La strategia di riparazione - prosegue Di Mauro - varia da specie a specie. Nel caso dell'uomo, organismo complesso con una vita media lunga, gli errori devono essere pochi. Il loro numero è invece più grande in esseri semplici come i batteri. Vita molto breve e necessità di adattarsi rapidamente all'ambiente fanno sì che il loro Dna debba essere più mutevole".
Fonte: Repubblica
È questa struttura la vera custode dell'identità di un individuo, e i ricercatori svedesi del Karolinska Institutet guidati da Camilla Sjögren ne hanno appena svelato una componente fondamentale: il complesso di proteine Smc5/6, capace di individuare gli errori sulla doppia elica e ripararli.
Il complesso interviene in realtà come meccanico di scorta. La prima linea nelle operazioni di riparazione è costituita da una sorta di trenino fatto di enzimi, che percorre la doppia elica come fosse un binario. Laddove incontra delle incongruenze si ferma, apporta le sue correzioni e poi riparte. Ma questo non basta, e dagli sbagli di copiatura non corretti possono nascere malattie come i tumori.
"Una cellula cancerosa - spiega Sjögren, che pubblica la sua ricerca su "Molecular Cell" - spesso ha delle aberrazioni nei cromosomi attribuibili a errori di copiatura". In questi casi è compito di Smc5/6 intervenire: i ricercatori svedesi, nel loro laboratorio, hanno messo le proteine all'opera su frammenti di Dna appositamente danneggiati. "Abbiamo scoperto - commenta Sjögren - uno dei meccanismi essenziali per la nostra stabilità genetica".
Pur essendo molto efficiente, il meccanismo di copiatura dei cromosomi sbaglia una "lettera" ogni milione, laddove il genoma completo ne contiene circa 4 miliardi. "Un numero molto basso di errori, eppure sufficiente ad accumularne 4mila per ogni replicazione. Cioè a far andare alla deriva una vita dopo pochi cicli di divisione cellulare", commenta Ernesto Di Mauro, genetista all'università La Sapienza di Roma e direttore scientifico della fondazione Cenci Bolognetti.
"Il meccanismo di correzione messo in atto dalla natura ha in sé qualcosa di geniale. Gli errori di copiatura infatti non sono necessariamente negativi. È grazie agli sbagli che ci siamo evoluti, passando dallo stato di batteri a quello di uomini". Il doppio meccanismo di correzione, per quanto sofisticato, deve dunque farsi sfuggire un numero infinitesimo e casuale di variazioni. "La strategia di riparazione - prosegue Di Mauro - varia da specie a specie. Nel caso dell'uomo, organismo complesso con una vita media lunga, gli errori devono essere pochi. Il loro numero è invece più grande in esseri semplici come i batteri. Vita molto breve e necessità di adattarsi rapidamente all'ambiente fanno sì che il loro Dna debba essere più mutevole".
Fonte: Repubblica
13 luglio 2006
Chip nel cervello, tetraplegico muove oggetti
Vi ricordate l'anno scorso dell'esperimento della Cyberkinetics su un ragazzo paraplegico di nome, Matthew Nagle. Ebbene ora sulla rivista Nature, esce uno special su qell'esperimento. Chi volesse vedere anche i video basta cliccare sul link che ho messo alla fine della pagina
MILANO — Matthew Nagle è il primo uomo al mondo che è riuscito, con la sola forza del pensiero, ad aprire e leggere una mail, a giocare con un videogame, a regolare il volume del televisore e, soprattutto, a controllare un arto-robot. È il primo tetraplegico nella storia della medicina che, grazie a un neurochip impiantato nel cervello, è diventato il protagonista di un esperimento che ha conquistato, questa settimana, la copertina della rivista Nature. Il viaggio di Matt verso le nuove frontiere della scienza comincia il 4 luglio del 2001 su una spiaggia del Massachusetts, a Weymouth: scoppia una rissa dove è coinvolto un suo amico, e Matt tenta di difenderlo. I pugni volano e tutti gridano, poi all'improvviso più nulla: Matt si trova un coltello conficcato nel collo fin dentro alla spina dorsale. Da ex idolo del football della locale scuola superiore, si ritrova, a 20 anni, paralizzato, gambe e braccia. Così decide di tentare l'esperimento. Nel 2004 il neurochirurgo Gerhard Friehs del Rhode Island Hospital, a Providence, gli impianta sulla parte di corteccia cerebrale che controlla i movimenti il BrainGate: si tratta di una «protesi neuromotoria», grande quattro millimetri per quattro, con cento elettrodi più piccoli di un capello, capace di mettere in comunicazione il suo cervello con gli oggetti del mondo esterno.
Da quel momento Matt si sottopone, al New England Sinai Hospital, a una serie di sedute di prova (57 in tutto) che vengono adesso raccontate dalla rivista scientifica. Lo stesso numero di Nature riferisce anche di un altro paziente, un uomo di 55 anni con lo stesso tipo di problema, attualmente seguito all'Università di Chicago e di un terzo che non riesce a parlare in seguito a un ictus. A questi si aggiungeranno altre persone affette da due malattie neuromuscolari, la distrofia e la sindrome laterale amiotrofica. «Il cervello di persone paralizzate anche da tempo — spiega John Donoghue, della Brown University di Providence, uno degli autori della ricerca — può generare, nell'area responsabile dei movimenti volontari, segnali che possono essere trasformati in azione: il paziente riesce così a compiere qualche semplice attività. Ecco come si procede: durante la seduta chiediamo al paziente di immaginare di muovere una mano come se dovesse controllare il mouse di un computer e registriamo quello che succede nella sua corteccia motoria. Poi studiamo questi segnali, che risultano diversi a seconda di quello che si pensa di fare; li filtriamo e trasformiamo una successione di impulsi nervosi in comandi bidimensionali che si traducono poi in azione. Con il solo pensiero si può persino muovere un arto artificiale».
Matt ci è riuscito. È riuscito ad aprire e chiudere le dita di una mano meccanica e ad usarla per afferrare e stringere oggetti: e questo è l'ultimo e più interessante risultato dell'esperimento. BrainGate, per ilmomento, è ben lontano dall'essere perfetto: è ancora troppo grosso e ingombrante e la qualità del segnale varia da paziente a paziente e da giorno a giorno. È indispensabile lavorare per aumentarne la durata e l'affidabilità. Matthew, e tutti gli altri pazienti che lo stanno provando, sanno benissimo di essere dei pionieri, ma sperano nel futuro. I ricercatori sono convinti che questa tecnologia potrà permettere non soltanto di usare un computer, di controllare arti artificiali, di muovere una sedia a rotelle soltanto «pensando» di farlo, ma anche di ristabilire un controllo diretto del cervello sul muscolo. Come? Costruendo stimolatori muscolari capaci di «ricevere» l'input dal cervello (attraverso BrainGate e non attraverso i nervi come avviene normalmente) e di trasmetterlo direttamente al muscolo che il paziente vuole muovere.
Fonte: Corriere della Sera
MILANO — Matthew Nagle è il primo uomo al mondo che è riuscito, con la sola forza del pensiero, ad aprire e leggere una mail, a giocare con un videogame, a regolare il volume del televisore e, soprattutto, a controllare un arto-robot. È il primo tetraplegico nella storia della medicina che, grazie a un neurochip impiantato nel cervello, è diventato il protagonista di un esperimento che ha conquistato, questa settimana, la copertina della rivista Nature. Il viaggio di Matt verso le nuove frontiere della scienza comincia il 4 luglio del 2001 su una spiaggia del Massachusetts, a Weymouth: scoppia una rissa dove è coinvolto un suo amico, e Matt tenta di difenderlo. I pugni volano e tutti gridano, poi all'improvviso più nulla: Matt si trova un coltello conficcato nel collo fin dentro alla spina dorsale. Da ex idolo del football della locale scuola superiore, si ritrova, a 20 anni, paralizzato, gambe e braccia. Così decide di tentare l'esperimento. Nel 2004 il neurochirurgo Gerhard Friehs del Rhode Island Hospital, a Providence, gli impianta sulla parte di corteccia cerebrale che controlla i movimenti il BrainGate: si tratta di una «protesi neuromotoria», grande quattro millimetri per quattro, con cento elettrodi più piccoli di un capello, capace di mettere in comunicazione il suo cervello con gli oggetti del mondo esterno.
Da quel momento Matt si sottopone, al New England Sinai Hospital, a una serie di sedute di prova (57 in tutto) che vengono adesso raccontate dalla rivista scientifica. Lo stesso numero di Nature riferisce anche di un altro paziente, un uomo di 55 anni con lo stesso tipo di problema, attualmente seguito all'Università di Chicago e di un terzo che non riesce a parlare in seguito a un ictus. A questi si aggiungeranno altre persone affette da due malattie neuromuscolari, la distrofia e la sindrome laterale amiotrofica. «Il cervello di persone paralizzate anche da tempo — spiega John Donoghue, della Brown University di Providence, uno degli autori della ricerca — può generare, nell'area responsabile dei movimenti volontari, segnali che possono essere trasformati in azione: il paziente riesce così a compiere qualche semplice attività. Ecco come si procede: durante la seduta chiediamo al paziente di immaginare di muovere una mano come se dovesse controllare il mouse di un computer e registriamo quello che succede nella sua corteccia motoria. Poi studiamo questi segnali, che risultano diversi a seconda di quello che si pensa di fare; li filtriamo e trasformiamo una successione di impulsi nervosi in comandi bidimensionali che si traducono poi in azione. Con il solo pensiero si può persino muovere un arto artificiale».
Matt ci è riuscito. È riuscito ad aprire e chiudere le dita di una mano meccanica e ad usarla per afferrare e stringere oggetti: e questo è l'ultimo e più interessante risultato dell'esperimento. BrainGate, per ilmomento, è ben lontano dall'essere perfetto: è ancora troppo grosso e ingombrante e la qualità del segnale varia da paziente a paziente e da giorno a giorno. È indispensabile lavorare per aumentarne la durata e l'affidabilità. Matthew, e tutti gli altri pazienti che lo stanno provando, sanno benissimo di essere dei pionieri, ma sperano nel futuro. I ricercatori sono convinti che questa tecnologia potrà permettere non soltanto di usare un computer, di controllare arti artificiali, di muovere una sedia a rotelle soltanto «pensando» di farlo, ma anche di ristabilire un controllo diretto del cervello sul muscolo. Come? Costruendo stimolatori muscolari capaci di «ricevere» l'input dal cervello (attraverso BrainGate e non attraverso i nervi come avviene normalmente) e di trasmetterlo direttamente al muscolo che il paziente vuole muovere.
Fonte: Corriere della Sera
07 luglio 2006
Svizzera. Figli su misura ed altri approcci terapeutici
Ha suscitato scalpore la nascita di Elodie, probabile primo bebè terapeutico svizzero. Elodie e' una "bambina su misura", scelta, attraverso la selezione degli embrioni, come donatrice di midollo osseo per il fratello colpito da grave deficienza immunitaria.
Il primo design baby e' nato pero' alcuni anni fa in Inghilterra con l'autorizzazione della locale commissione etica. In teoria -scrupoli etici a parte-, si potrebbero "produrre" bambini donatori di reni o di una parte del fegato da trapiantare non solo ai fratelli ma ad altri familiari. Chi riflette sui bebè terapeutici, forse si chiede quali altre possibilita' ci sarebbero per ottenere cellule staminali compatibili. Per l'esperto di cellule staminaliAlois Gratwohl, della clinica universitaria di Basilea, la risposta e' semplice: se si reperiscono cellule staminali dal cordone ombelicale provenienti da fratelli con lo stesso sistema Hla (antigeni umani leucocitari) o sistema di istocompatibilita', disponiamo della migliore fonte possibile, essendo queste cellule superiori delle staminali ottenibili dal midollo osseo o dal sangue.
Questo perche' le cellule di un neonato non hanno pressoché contatti con microrganismi, quindi sono meno aggressivi dal punto di vista immunologico. Ma buoni risultati si possono ottenere anche con familiari o estranei aventi lo stesso sistema Hla. Questi ultimi si possono cercare in ogni parte del mondo grazie al registro delle cellule staminali. Oggi sono dieci milioni le persone registrare e disponibili, in caso di necessita', a donare le cellule staminali. Inoltre, esiste una riserva di sangue cordonale di duecentomila neonati. Gratwohl chiarisce che il rapporto attuale e' di un donatore compatibile ogni due pazienti. Se non tutti possono contare su un donatore compatibile, e' perche' esistono dei tipi Hla piu' frequenti e altri molto rari. C'e' una regola molto semplice: maggiore e' la compatibilita' tra donatore e ricevente e migliore e' il risultato dell'intervento. Malgrado cio', un terzo dei trapianti con cellule staminali avviene anche in mancanza di donatori compatibili. Addirittura, in alcune circostanze le staminali di un donatore non istocompatibile danno dei vantaggi, ossia degli effetti migliori contro la malattia genetica. E' ovvio, chiosa Gratwohl, che bisogna valutare caso per caso quali possano essere rischi e benefici di ogni opzione terapeutica.
Altri possibili trattamenti su malati bisognosi di cellule staminali potrebbero essere, almeno in ipotesi, una terapia genetica e la clonazione terapeutica. Solo che, a differenza del trapianto di staminali da fonti consolidate, questi metodi sono ancora in una fase concettualmente sperimentale. Ma, in base alle sperimentazioni animali, si puo' immaginare che siano interventi fattibili. In questo caso si toglierebbe dal paziente una cellula somatica per fonderla con un ovocita privato dal nucleo, e tramite opportune stimolazione s'indurrebbero le cellule a dividersi. Sostituendo il gene malato con una variante sana, si svilupperebbe un embrione, da cui ricavare cellule staminali da coltivare e utilizzare nel trattamento. Gratwohl ammette che si sa ancora troppo poco se un simile scenario possa funzionare anche sull'uomo o se si dovra' fare i conti con nuovi problemi inediti. Ci sono indizi a favore dell'ipotesi, secondo cui per la clonazione terapeutica non sia indispensabile un ovocita privato del nucleo; il procedimento potrebbe funzionare anche con cellule staminali embrionali o con il citoplasma, visto che sono determinati componenti del citoplasma a consentire la riprogrammazione e quindi la clonazione. Gratwohl e' sicuro che queste sostanze saranno identificate tra non molto. Tutto cio', a dimostrazione di quanti passi avanti riesca a fare la medicina riproduttiva e a quali livelli si muove la ricerca -a prescindere dal dibattito in corso nell'opinione pubblica e tra i legislatori sul valore e il significato della diagnosi preimpianto.
Fonte: Cellule staminali
Il primo design baby e' nato pero' alcuni anni fa in Inghilterra con l'autorizzazione della locale commissione etica. In teoria -scrupoli etici a parte-, si potrebbero "produrre" bambini donatori di reni o di una parte del fegato da trapiantare non solo ai fratelli ma ad altri familiari. Chi riflette sui bebè terapeutici, forse si chiede quali altre possibilita' ci sarebbero per ottenere cellule staminali compatibili. Per l'esperto di cellule staminaliAlois Gratwohl, della clinica universitaria di Basilea, la risposta e' semplice: se si reperiscono cellule staminali dal cordone ombelicale provenienti da fratelli con lo stesso sistema Hla (antigeni umani leucocitari) o sistema di istocompatibilita', disponiamo della migliore fonte possibile, essendo queste cellule superiori delle staminali ottenibili dal midollo osseo o dal sangue.
Questo perche' le cellule di un neonato non hanno pressoché contatti con microrganismi, quindi sono meno aggressivi dal punto di vista immunologico. Ma buoni risultati si possono ottenere anche con familiari o estranei aventi lo stesso sistema Hla. Questi ultimi si possono cercare in ogni parte del mondo grazie al registro delle cellule staminali. Oggi sono dieci milioni le persone registrare e disponibili, in caso di necessita', a donare le cellule staminali. Inoltre, esiste una riserva di sangue cordonale di duecentomila neonati. Gratwohl chiarisce che il rapporto attuale e' di un donatore compatibile ogni due pazienti. Se non tutti possono contare su un donatore compatibile, e' perche' esistono dei tipi Hla piu' frequenti e altri molto rari. C'e' una regola molto semplice: maggiore e' la compatibilita' tra donatore e ricevente e migliore e' il risultato dell'intervento. Malgrado cio', un terzo dei trapianti con cellule staminali avviene anche in mancanza di donatori compatibili. Addirittura, in alcune circostanze le staminali di un donatore non istocompatibile danno dei vantaggi, ossia degli effetti migliori contro la malattia genetica. E' ovvio, chiosa Gratwohl, che bisogna valutare caso per caso quali possano essere rischi e benefici di ogni opzione terapeutica.
Altri possibili trattamenti su malati bisognosi di cellule staminali potrebbero essere, almeno in ipotesi, una terapia genetica e la clonazione terapeutica. Solo che, a differenza del trapianto di staminali da fonti consolidate, questi metodi sono ancora in una fase concettualmente sperimentale. Ma, in base alle sperimentazioni animali, si puo' immaginare che siano interventi fattibili. In questo caso si toglierebbe dal paziente una cellula somatica per fonderla con un ovocita privato dal nucleo, e tramite opportune stimolazione s'indurrebbero le cellule a dividersi. Sostituendo il gene malato con una variante sana, si svilupperebbe un embrione, da cui ricavare cellule staminali da coltivare e utilizzare nel trattamento. Gratwohl ammette che si sa ancora troppo poco se un simile scenario possa funzionare anche sull'uomo o se si dovra' fare i conti con nuovi problemi inediti. Ci sono indizi a favore dell'ipotesi, secondo cui per la clonazione terapeutica non sia indispensabile un ovocita privato del nucleo; il procedimento potrebbe funzionare anche con cellule staminali embrionali o con il citoplasma, visto che sono determinati componenti del citoplasma a consentire la riprogrammazione e quindi la clonazione. Gratwohl e' sicuro che queste sostanze saranno identificate tra non molto. Tutto cio', a dimostrazione di quanti passi avanti riesca a fare la medicina riproduttiva e a quali livelli si muove la ricerca -a prescindere dal dibattito in corso nell'opinione pubblica e tra i legislatori sul valore e il significato della diagnosi preimpianto.
Fonte: Cellule staminali
La nuova internet passa per gli odori
Un team giapponese lavora su un naso elettronico: dicono che rispetto ad altri cybersniffatori questo sia superiore. Percepisce un alto numero di aromi ed è in grado di riprodurli identici a comando
Tokyo - Gli ingegneri dell'Istituto di tecnologia di Tokyo hanno elaborato uno strumento che, oltre ad avere la funzione di riconoscitore olfattivo, sarà in grado di riprodurre svariati tipi di odori attraverso l'uso di alcuni prodotti chimici, trasformandosi in una sorta di registratore di odori.
L'ennesimo sistema di questo genere? Da tempo vengono sviluppati in mezzo mondo, Italia compresa, nuove forme di nasi elettronici, strumenti capaci di distinguere vari tipi di odori, persino quelli legati a certe specifiche patologie. La particolarità dell'iniziativa giapponese, secondo il capoprogetto Pambuk Somboon, starebbe nell'affinata capacità della macchina di riconoscere e riprodurre un'ampia gamma di odori.
Il sistema sviluppato dal team di Somboon utilizza quindici microchip che hanno la funzione di recepire gli aromi. Questi elementi a loro volta formano un "recipente" di circa 96 principi chimici con i quali poi sarà possibile ricreare un particolare odore. Per far comprendere la complessità della cosa, Somboon ricorre ad un paragone invero un po' sbilenco con una videocamera: nelle registrazioni visive - spiega - vengono presi in considerazione i colori primari, ovvero giallo blu e rosso, mentre nel caso di questo "alitatore elettronico" è necessario riprodurre almeno in parte i 347 sensori olfattivi presenti negli esseri umani.
L'equipe di tecnici giapponesi afferma di aver generato alcuni odori che sul piano tecnico presentano particolari difficoltà: sostengono di essere in grado di riprodurre fedelmente sia l'aroma della mela verde, sia quello della mela rossa. Si tratterebbe di qualcosa di più specifico e raffinato di altre tecnologie, come quelle che vorrebbero riportare l'odorama nei cinema o sui siti web.
A cosa può servire un fiuto particolarmente sviluppato e la capacità di riprodurre quanto percepito? Le parole di Samboon assomigliano a quelle già sentite in altre occasioni, si parla di rivoluzione del mercato web, perché sarà possibile sentire l'odore di ciò che si compra online. Ma servirebbe anche in ambito medico nelle nuove operazioni a distanza, in cui il chirurgo non si trovi a contatto con il paziente ma necessiti di annusarlo.
Qualche interesse il lavoro di Samboon e soci sta suscitando. Stephen Brewster, dell'Università di Glasgow in Scozia, ha già dichiarato di volerne sapere di più: un naso elettronico finalmente efficiente, accoppiato ad un riproduttore di odori ugualmente sofisticato, profetizza, aprirebbe le porte ad una "nuova internet".
Fonte: Punto informatico
Il sistema sviluppato dal team di Somboon utilizza quindici microchip che hanno la funzione di recepire gli aromi. Questi elementi a loro volta formano un "recipente" di circa 96 principi chimici con i quali poi sarà possibile ricreare un particolare odore. Per far comprendere la complessità della cosa, Somboon ricorre ad un paragone invero un po' sbilenco con una videocamera: nelle registrazioni visive - spiega - vengono presi in considerazione i colori primari, ovvero giallo blu e rosso, mentre nel caso di questo "alitatore elettronico" è necessario riprodurre almeno in parte i 347 sensori olfattivi presenti negli esseri umani.
L'equipe di tecnici giapponesi afferma di aver generato alcuni odori che sul piano tecnico presentano particolari difficoltà: sostengono di essere in grado di riprodurre fedelmente sia l'aroma della mela verde, sia quello della mela rossa. Si tratterebbe di qualcosa di più specifico e raffinato di altre tecnologie, come quelle che vorrebbero riportare l'odorama nei cinema o sui siti web.
A cosa può servire un fiuto particolarmente sviluppato e la capacità di riprodurre quanto percepito? Le parole di Samboon assomigliano a quelle già sentite in altre occasioni, si parla di rivoluzione del mercato web, perché sarà possibile sentire l'odore di ciò che si compra online. Ma servirebbe anche in ambito medico nelle nuove operazioni a distanza, in cui il chirurgo non si trovi a contatto con il paziente ma necessiti di annusarlo.
Qualche interesse il lavoro di Samboon e soci sta suscitando. Stephen Brewster, dell'Università di Glasgow in Scozia, ha già dichiarato di volerne sapere di più: un naso elettronico finalmente efficiente, accoppiato ad un riproduttore di odori ugualmente sofisticato, profetizza, aprirebbe le porte ad una "nuova internet".
Fonte: Punto informatico
29 giugno 2006
Londra, il pc-strizzacervelli che legge le nostre emozioni
Sarà presentato in una mostra un computer che collegato a una fotocamera promette di leggere espressioni e sensazioni.
LONDRA - Indovinare l'attimo prima della goccia che fa traboccare il vaso. O cogliere alla sprovvista chi crede di farci fessi con un sorriso. Tutti abbiamo provato a leggere nel pensiero di chi ci stava di fronte. Qualche volta ci riusciamo, più spesso no. Da ora, però, sarà un computer a farlo.
Il sistema intelligente messo a punto dagli informatici dell'università di Cambridge che promette di decodificare le espressioni del viso, proponendosi ricadute ludiche, commerciali ma anche mediche, sarà presentato il prossimo 3 luglio a Londra alla mostra della Royal Society Summer Science Exhibition.
Le prime anime ad essere "scandagliate" saranno quelle dei visitatori, invitati dagli stessi programmatori a contribuire "ad addestrare" il computer offrendogli espressioni ed emozioni di gioia, rabbia, noia e chissà cos'altro.
A fare il lavoro maggiore sarà una macchina fotografica collegata all'avveniristico apparecchio che individuerà le 24 "caratteristiche facciali" determinanti dell'espressione, dal bordo del naso, alle sopracciglia passando per l'inclinazione degli angoli della bocca. E nessuno potrà più nascondere segreti.
Il sistema, infatti, si districherà tra le combinazioni dei movimenti facciali difficilmente controllabili razionalmente e coglierà dal vivo le emozioni più recondite. Secondo Peter Robinson, professore di tecnologia dell'informatica all'università di Cambridge "ci sono piccole differenze nel modo con cui la gente esprime la stessa emozione, che difficilmente si leggono ad occhio nudo".
E già si pensa ai possibili utilizzi commerciali. Primo tra tutti, per esempio, scoprire quando cogliere il momento giusto per vendere qualcosa a qualcuno. Ma non solo. Gli informatici impegnati nel progetto promettono di poter migliorare la sicurezza al volante, creando una sorta di banca dati elettronica che contenga le espressioni in situazioni di confusione, stanchezza e disorientamento. "Stiamo lavorando con i volontari - continua Robinson - e con una grande azienda di automobili, prevediamo che il sistema sarà impiegato entro cinque anni".
Una versione portatile aiuterà invece gli affetti da autismo e da sindrome di Asperger. Progettata insieme ai colleghi del Massachusetts Institute of Technology, leggerà le espressioni facciali e delle emozioni.
Gli scienziati hanno messo a punto il sistema anche grazie alla collaborazione di un gruppo di attori. E pensano a immettere la loro invenzione in Rete. "Per esempio - ha spiegato Robinson - il software collegato ad un webcam potrebbe scannerizzare l'immagine della persona, codificarla e trasmettere le informazioni al sito pubblicitario in grado, a questo punto, di proporgli il prodotto più calzante".
Fonte: Repubblica
LONDRA - Indovinare l'attimo prima della goccia che fa traboccare il vaso. O cogliere alla sprovvista chi crede di farci fessi con un sorriso. Tutti abbiamo provato a leggere nel pensiero di chi ci stava di fronte. Qualche volta ci riusciamo, più spesso no. Da ora, però, sarà un computer a farlo.
Il sistema intelligente messo a punto dagli informatici dell'università di Cambridge che promette di decodificare le espressioni del viso, proponendosi ricadute ludiche, commerciali ma anche mediche, sarà presentato il prossimo 3 luglio a Londra alla mostra della Royal Society Summer Science Exhibition.
Le prime anime ad essere "scandagliate" saranno quelle dei visitatori, invitati dagli stessi programmatori a contribuire "ad addestrare" il computer offrendogli espressioni ed emozioni di gioia, rabbia, noia e chissà cos'altro.
A fare il lavoro maggiore sarà una macchina fotografica collegata all'avveniristico apparecchio che individuerà le 24 "caratteristiche facciali" determinanti dell'espressione, dal bordo del naso, alle sopracciglia passando per l'inclinazione degli angoli della bocca. E nessuno potrà più nascondere segreti.
Il sistema, infatti, si districherà tra le combinazioni dei movimenti facciali difficilmente controllabili razionalmente e coglierà dal vivo le emozioni più recondite. Secondo Peter Robinson, professore di tecnologia dell'informatica all'università di Cambridge "ci sono piccole differenze nel modo con cui la gente esprime la stessa emozione, che difficilmente si leggono ad occhio nudo".
E già si pensa ai possibili utilizzi commerciali. Primo tra tutti, per esempio, scoprire quando cogliere il momento giusto per vendere qualcosa a qualcuno. Ma non solo. Gli informatici impegnati nel progetto promettono di poter migliorare la sicurezza al volante, creando una sorta di banca dati elettronica che contenga le espressioni in situazioni di confusione, stanchezza e disorientamento. "Stiamo lavorando con i volontari - continua Robinson - e con una grande azienda di automobili, prevediamo che il sistema sarà impiegato entro cinque anni".
Una versione portatile aiuterà invece gli affetti da autismo e da sindrome di Asperger. Progettata insieme ai colleghi del Massachusetts Institute of Technology, leggerà le espressioni facciali e delle emozioni.
Gli scienziati hanno messo a punto il sistema anche grazie alla collaborazione di un gruppo di attori. E pensano a immettere la loro invenzione in Rete. "Per esempio - ha spiegato Robinson - il software collegato ad un webcam potrebbe scannerizzare l'immagine della persona, codificarla e trasmettere le informazioni al sito pubblicitario in grado, a questo punto, di proporgli il prodotto più calzante".
Fonte: Repubblica
Ricercatori italiani fanno «ricrescere» nervi
Antonio Iavarone e Anna Lasorella, che lavorano a New York, hanno ottenuto per la prima volta la rigenerazione degli «assoni»
NEW YORK - Ricercatori italiani hanno dimostrato per la prima volta una connessione tra i meccanismi che promuovono la crescita dei tumori e quelli che stimolano la rigenerazione delle fibre nervose. Il loro studio verrà pubblicato domani sulla prestigiosa rivista Nature. Antonio Iavarone e Anna Lasorella, che lavorano alla Columbia University di New York, in particolare, sono riusciti a «far ricrescere» in laboratorio fibre nervose la cui crescita era stata bloccata.
«E' qualcosa di completamente inatteso e sorprendente» spiega Antonio Iavarone. «Il nostro interesse era quello di approfondire la conoscenza di alcune proteine della famiglia "Id" già note per la loro capacità di promuovere la crescita delle cellule staminali durante il periodo fetale, ma anche per la possibilità, a elevate concentrazioni, di conferire caratteristiche di malignità ad alcuni tumori infantili del sistema nervoso». Questa proteina,invece, nelle cellule nervose mature normali è continuamente distrutta da un enzima chiamato APC (Anaphase Promoting Complex) e quindi non si accumula. «In laboratorio noi abbiamo provato a inserire una forma modificata di Id2, resistente questo enzima in cellule nervose trattate con la sostanza che normalmente ne inibisce la crescita nota come mielina» spiega Iavarone. «E abbiamo constatato una incredibile ricrescita degli assoni, i filamenti che trasferiscono le informazioni (sotto forma di segnali elettrici) tra le cellule nervose oppure dalle cellule nervose agli altri tessuti, per esempio i muscoli». «Dal punto di vista scientifico si tratta di una scoperta sensazionale,perché ora si apre la prospettiva di riprogrammare le cellule nervose e far crescere gli assoni usando la forma modificata di Id2».
La scoperta potrebbe quindi aprire nuove possibilità per il trattamento delle lesioni del midollo spinale? «Dev'essere chiaro che non abbiamo un nuovo farmaco per la cura dei medullolesi» precisa Iavarone, «Ma dal punto di vista speculativo è certamente un progresso di rilievo. Anche perché finora erano andati incontro a fallimenti praticamente tutti i tentativi di far ricrescere gli assoni, perché la mielina, cioè la sostanza di cui gli assoni sono rivestiti, ha una funzione inibitoria su questa ricrescita, e invece la proteina che abbiamo utilizzato è insensibile a questo effetto».
Nessun pericolo di indurre tumori? «E' chiaro che per affermarlo con certezza sarebbe necessario provare questo metodo in vivo su molti pazienti. Per ora possiamo solo dire che non abbiamo notato anomalie nei tessuti che abbiamo trattato. Ma è chiaro che se la Id2 è dotata di simili effetti una sua eventuale applicazione dovrà essere sottoposta a scrupolose verifiche».
Fonte: Corriere della Sera
NEW YORK - Ricercatori italiani hanno dimostrato per la prima volta una connessione tra i meccanismi che promuovono la crescita dei tumori e quelli che stimolano la rigenerazione delle fibre nervose. Il loro studio verrà pubblicato domani sulla prestigiosa rivista Nature. Antonio Iavarone e Anna Lasorella, che lavorano alla Columbia University di New York, in particolare, sono riusciti a «far ricrescere» in laboratorio fibre nervose la cui crescita era stata bloccata.
«E' qualcosa di completamente inatteso e sorprendente» spiega Antonio Iavarone. «Il nostro interesse era quello di approfondire la conoscenza di alcune proteine della famiglia "Id" già note per la loro capacità di promuovere la crescita delle cellule staminali durante il periodo fetale, ma anche per la possibilità, a elevate concentrazioni, di conferire caratteristiche di malignità ad alcuni tumori infantili del sistema nervoso». Questa proteina,invece, nelle cellule nervose mature normali è continuamente distrutta da un enzima chiamato APC (Anaphase Promoting Complex) e quindi non si accumula. «In laboratorio noi abbiamo provato a inserire una forma modificata di Id2, resistente questo enzima in cellule nervose trattate con la sostanza che normalmente ne inibisce la crescita nota come mielina» spiega Iavarone. «E abbiamo constatato una incredibile ricrescita degli assoni, i filamenti che trasferiscono le informazioni (sotto forma di segnali elettrici) tra le cellule nervose oppure dalle cellule nervose agli altri tessuti, per esempio i muscoli». «Dal punto di vista scientifico si tratta di una scoperta sensazionale,perché ora si apre la prospettiva di riprogrammare le cellule nervose e far crescere gli assoni usando la forma modificata di Id2».
La scoperta potrebbe quindi aprire nuove possibilità per il trattamento delle lesioni del midollo spinale? «Dev'essere chiaro che non abbiamo un nuovo farmaco per la cura dei medullolesi» precisa Iavarone, «Ma dal punto di vista speculativo è certamente un progresso di rilievo. Anche perché finora erano andati incontro a fallimenti praticamente tutti i tentativi di far ricrescere gli assoni, perché la mielina, cioè la sostanza di cui gli assoni sono rivestiti, ha una funzione inibitoria su questa ricrescita, e invece la proteina che abbiamo utilizzato è insensibile a questo effetto».
Nessun pericolo di indurre tumori? «E' chiaro che per affermarlo con certezza sarebbe necessario provare questo metodo in vivo su molti pazienti. Per ora possiamo solo dire che non abbiamo notato anomalie nei tessuti che abbiamo trattato. Ma è chiaro che se la Id2 è dotata di simili effetti una sua eventuale applicazione dovrà essere sottoposta a scrupolose verifiche».
Fonte: Corriere della Sera
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