Vi ricordate l'anno scorso dell'esperimento della Cyberkinetics su un ragazzo paraplegico di nome, Matthew Nagle. Ebbene ora sulla rivista Nature, esce uno special su qell'esperimento. Chi volesse vedere anche i video basta cliccare sul link che ho messo alla fine della pagina
MILANO — Matthew Nagle è il primo uomo al mondo che è riuscito, con la sola forza del pensiero, ad aprire e leggere una mail, a giocare con un videogame, a regolare il volume del televisore e, soprattutto, a controllare un arto-robot. È il primo tetraplegico nella storia della medicina che, grazie a un neurochip impiantato nel cervello, è diventato il protagonista di un esperimento che ha conquistato, questa settimana, la copertina della rivista Nature. Il viaggio di Matt verso le nuove frontiere della scienza comincia il 4 luglio del 2001 su una spiaggia del Massachusetts, a Weymouth: scoppia una rissa dove è coinvolto un suo amico, e Matt tenta di difenderlo. I pugni volano e tutti gridano, poi all'improvviso più nulla: Matt si trova un coltello conficcato nel collo fin dentro alla spina dorsale. Da ex idolo del football della locale scuola superiore, si ritrova, a 20 anni, paralizzato, gambe e braccia. Così decide di tentare l'esperimento. Nel 2004 il neurochirurgo Gerhard Friehs del Rhode Island Hospital, a Providence, gli impianta sulla parte di corteccia cerebrale che controlla i movimenti il BrainGate: si tratta di una «protesi neuromotoria», grande quattro millimetri per quattro, con cento elettrodi più piccoli di un capello, capace di mettere in comunicazione il suo cervello con gli oggetti del mondo esterno.
Da quel momento Matt si sottopone, al New England Sinai Hospital, a una serie di sedute di prova (57 in tutto) che vengono adesso raccontate dalla rivista scientifica. Lo stesso numero di Nature riferisce anche di un altro paziente, un uomo di 55 anni con lo stesso tipo di problema, attualmente seguito all'Università di Chicago e di un terzo che non riesce a parlare in seguito a un ictus. A questi si aggiungeranno altre persone affette da due malattie neuromuscolari, la distrofia e la sindrome laterale amiotrofica. «Il cervello di persone paralizzate anche da tempo — spiega John Donoghue, della Brown University di Providence, uno degli autori della ricerca — può generare, nell'area responsabile dei movimenti volontari, segnali che possono essere trasformati in azione: il paziente riesce così a compiere qualche semplice attività. Ecco come si procede: durante la seduta chiediamo al paziente di immaginare di muovere una mano come se dovesse controllare il mouse di un computer e registriamo quello che succede nella sua corteccia motoria. Poi studiamo questi segnali, che risultano diversi a seconda di quello che si pensa di fare; li filtriamo e trasformiamo una successione di impulsi nervosi in comandi bidimensionali che si traducono poi in azione. Con il solo pensiero si può persino muovere un arto artificiale».
Matt ci è riuscito. È riuscito ad aprire e chiudere le dita di una mano meccanica e ad usarla per afferrare e stringere oggetti: e questo è l'ultimo e più interessante risultato dell'esperimento. BrainGate, per ilmomento, è ben lontano dall'essere perfetto: è ancora troppo grosso e ingombrante e la qualità del segnale varia da paziente a paziente e da giorno a giorno. È indispensabile lavorare per aumentarne la durata e l'affidabilità. Matthew, e tutti gli altri pazienti che lo stanno provando, sanno benissimo di essere dei pionieri, ma sperano nel futuro. I ricercatori sono convinti che questa tecnologia potrà permettere non soltanto di usare un computer, di controllare arti artificiali, di muovere una sedia a rotelle soltanto «pensando» di farlo, ma anche di ristabilire un controllo diretto del cervello sul muscolo. Come? Costruendo stimolatori muscolari capaci di «ricevere» l'input dal cervello (attraverso BrainGate e non attraverso i nervi come avviene normalmente) e di trasmetterlo direttamente al muscolo che il paziente vuole muovere.
Fonte: Corriere della Sera
MILANO — Matthew Nagle è il primo uomo al mondo che è riuscito, con la sola forza del pensiero, ad aprire e leggere una mail, a giocare con un videogame, a regolare il volume del televisore e, soprattutto, a controllare un arto-robot. È il primo tetraplegico nella storia della medicina che, grazie a un neurochip impiantato nel cervello, è diventato il protagonista di un esperimento che ha conquistato, questa settimana, la copertina della rivista Nature. Il viaggio di Matt verso le nuove frontiere della scienza comincia il 4 luglio del 2001 su una spiaggia del Massachusetts, a Weymouth: scoppia una rissa dove è coinvolto un suo amico, e Matt tenta di difenderlo. I pugni volano e tutti gridano, poi all'improvviso più nulla: Matt si trova un coltello conficcato nel collo fin dentro alla spina dorsale. Da ex idolo del football della locale scuola superiore, si ritrova, a 20 anni, paralizzato, gambe e braccia. Così decide di tentare l'esperimento. Nel 2004 il neurochirurgo Gerhard Friehs del Rhode Island Hospital, a Providence, gli impianta sulla parte di corteccia cerebrale che controlla i movimenti il BrainGate: si tratta di una «protesi neuromotoria», grande quattro millimetri per quattro, con cento elettrodi più piccoli di un capello, capace di mettere in comunicazione il suo cervello con gli oggetti del mondo esterno.
Da quel momento Matt si sottopone, al New England Sinai Hospital, a una serie di sedute di prova (57 in tutto) che vengono adesso raccontate dalla rivista scientifica. Lo stesso numero di Nature riferisce anche di un altro paziente, un uomo di 55 anni con lo stesso tipo di problema, attualmente seguito all'Università di Chicago e di un terzo che non riesce a parlare in seguito a un ictus. A questi si aggiungeranno altre persone affette da due malattie neuromuscolari, la distrofia e la sindrome laterale amiotrofica. «Il cervello di persone paralizzate anche da tempo — spiega John Donoghue, della Brown University di Providence, uno degli autori della ricerca — può generare, nell'area responsabile dei movimenti volontari, segnali che possono essere trasformati in azione: il paziente riesce così a compiere qualche semplice attività. Ecco come si procede: durante la seduta chiediamo al paziente di immaginare di muovere una mano come se dovesse controllare il mouse di un computer e registriamo quello che succede nella sua corteccia motoria. Poi studiamo questi segnali, che risultano diversi a seconda di quello che si pensa di fare; li filtriamo e trasformiamo una successione di impulsi nervosi in comandi bidimensionali che si traducono poi in azione. Con il solo pensiero si può persino muovere un arto artificiale».
Matt ci è riuscito. È riuscito ad aprire e chiudere le dita di una mano meccanica e ad usarla per afferrare e stringere oggetti: e questo è l'ultimo e più interessante risultato dell'esperimento. BrainGate, per ilmomento, è ben lontano dall'essere perfetto: è ancora troppo grosso e ingombrante e la qualità del segnale varia da paziente a paziente e da giorno a giorno. È indispensabile lavorare per aumentarne la durata e l'affidabilità. Matthew, e tutti gli altri pazienti che lo stanno provando, sanno benissimo di essere dei pionieri, ma sperano nel futuro. I ricercatori sono convinti che questa tecnologia potrà permettere non soltanto di usare un computer, di controllare arti artificiali, di muovere una sedia a rotelle soltanto «pensando» di farlo, ma anche di ristabilire un controllo diretto del cervello sul muscolo. Come? Costruendo stimolatori muscolari capaci di «ricevere» l'input dal cervello (attraverso BrainGate e non attraverso i nervi come avviene normalmente) e di trasmetterlo direttamente al muscolo che il paziente vuole muovere.
Fonte: Corriere della Sera
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